VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani
Sbarco, a cavallo dei due millenni, nell’inquieta capitale algerina dei “quattro integralismi” (militare, sociale, religioso e identitario), che sognava un futuro di lusso “a bagnomaria nel Mediterraneo“.
Il 2000 è un anno speciale. Non ha avuto inizio solo un anno nuovo, ma un nuovo secolo e addirittura un nuovo millennio. È un bellissimo novembre e io metto piede in Algeria. Nemmeno il tempo di uscire dall’aeroporto e fare conoscenza con l’accompagnatore Omar Nedjar e ci troviamo circondati da alcuni uomini in borghese; portano stampato in faccia il lavoro che fanno: sono piuttosto massicci, un po’ bassi di statura, indossano impermeabili leggeri (suppongo adattissimi per nascondere le armi) e non sorridono mai. Omar dice che queste persone ci proteggeranno per tutto il tempo che restiamo in città; con il suo italiano ondeggiante ma buono (che nei momenti di imbarazzo o concitazione scivola nel francese) si sforza di spiegarmi che il clima in Algeri (niente a che vedere con la meteorologia) è notevolmente migliorato in questi ultimi tempi, ma la prudenza è d’obbligo.
Si passeggia per le strade prossime al porto, al centro commerciale, su fino alla Casbah, circondati dai cinque o sei dei citati poliziotti della Sûreté Nationale che ci tallonano e girano lo sguardo in continuazione, per evitare sorprese. La visione d’assieme della città e della sua baia, con le vecchie case della Casbah abbarbicate sul promontorio ovest per chi guarda verso il mare e i nuovi palazzoni eretti in splendido disordine che rubano giorno dopo giorno spazio e verde alle colline dell’entroterra, fa pensare subito a due città che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo: Genova e Marsiglia. Non a caso sia Genova che Marsiglia, da sempre porti trafficati e quindi aperti alle influenze etniche del mondo, denunciano, specie nei vecchi quartieri del centro storico e in quelli direttamente a ridosso del porto, un’atmosfera tutta particolare: comune, è vero, alle città di mare, ma ad Algeri più marcata che altrove. Vociante e insieme silenziosa, sporca e tuttavia gradevole, densamente popolata ma anche spettrale, specie quando scende il buio della notte. In altre parole, un’atmosfera esotica che tuttavia conserva bagliori europei. Ad Algeri, naturalmente, questi caratteri distintivi si intensificano perché la capitale d’Algeria è un vero coacervo di genti diverse e oggi, più che mai, è città intensamente araba, anche se l’imprinting berbero permane nei volti della gente, mentre le tracce della lunga permanenza francese sono tuttora evidenti negli eleganti palazzi del centro, nei locali frequentati da una gioventù moderna e vivace che lascia capire come il retaggio europeo faccia oramai parte del loro modo di vivere.
Il venerdì arriva ad Algeri come una benedizione: il richiamo lamentoso del muezzin, la preghiera nella moschea, il pranzo in famiglia, i figli da sorvegliare (anche i giochi di strada non sono esenti da pericoli), la televisione. In periodo di Ramadan come questo, si incrocia una moltitudine di uomini che affollano i negozi di alimentari con le ultime luci della giornata; seguiranno i riti dei digiuni e dei cibi e bevande ingeriti nelle ore notturne con il resto della famiglia. Algeri, in certe zone, si popola di giorno e si svuota alla sera; per chi è abituato al pendolarismo, perché abita nei numerosi centri attorno alla capitale e vuole alleviare questa vita di sacrifici, c’è sempre la possibilità di trasferirsi in città in via definitiva; qualche buco nei casamenti delle vaste zone suburbane, divorate dalla frenesia edilizia, lo si trova sempre. Ecco perché Algeri supera i tre milioni di abitanti, sui circa trentacinque che popolano l’intero Paese; ecco perché il 92% degli abitanti sono confinati nelle fertili regioni del nord, mentre gli altri sono sparpagliati nel resto desertico del Paese che costituisce il secondo, interessante aspetto dell’Algeria. Parrebbe un controsenso (il deserto è solo deserto!); invece no, perché la mutevole realtà di queste terre solo all’apparenza morte, pulsa anch’essa di vita, come la capitale.
Comincio a capire le reticenze di Omar, i suoi pudici interventi verbali su argomenti diversi da quelli che gli impone il ruolo di cicerone; lo stuzzico con discrezione accennando ad una mia sensazione: l’apparente muoversi guardingo della gente che affolla vie e piazze; è sempre questa, l’atmosfera? Mentre beviamo un tè alla menta in un bar della casbah prossimo alla moschea Ketchaoua, Omar spiega che l’Algeria sta uscendo, a fatica, dalla morsa dei quattro integralismi e delle azioni terroristiche che tanti massacri hanno prodotto. Naturalmente gli chiedo di spiegarmi quali siano gli integralismi cui fa cenno. Risponde veloce e circospetto: quello militare, in primo luogo, diretta eredità distorta che arriva dalla cruenta guerra di liberazione condotta contro i francesi (1954-1962); entrata in crisi l’oligarchia militare (lontani gli anni eroici della liberazione) è subentrato l’integralismo dei civili; le nuove generazioni hanno preso possesso delle leve di potere dichiarando “il re siamo noi” e molti di questi giovani, invecchiati, sono ancora nei posti di comando; ai privilegi dei militari sono subentrati quelli dei civili. Quindi l’integralismo religioso che è nato e si è sviluppato in maniera inizialmente sommessa e strisciante, per mezzo di un proselitismo fra la gente esercitato all’uscita dalle moschee e successivamente anche al loro interno; la prima associazione islamica risale al 1970; nel nome di Allah e in contrapposizione ai valori occidentali, gli uomini dei Gruppi Islamici Armati (GIA) si sono proposti come redentori e giustizieri insieme; quando la gente ha cominciato a capire che anche questo movimento aveva capi maggiormente dediti alla mafia politico-finanziaria, piuttosto che ai comandamenti divini, era troppo tardi per uscirne; chi lo ha fatto, ha pagato di persona o ha subìto, impotente, le vendette trasversali a danno di amici, parenti, figli. Infine, l’integralismo di identità di coloro che ancora vagheggiano un legame con la madre patria francese e che parlano di una “invasione araba” del Maghreb. Sono stati oltre un milione, tra francesi e stranieri, coloro che hanno abbandonato l’Algeria dopo la guerra di liberazione. Gente, sostiene Omar, che vive ancora oggi disancorata da una realtà sociale che è mutata radicalmente, arabizzandosi. Tutti movimenti, questi, che tendono purtroppo a minare le fondamenta della convivenza civile per opposte ragioni che mal si conciliano tra loro.
Eppure gli algerini sono dappertutto. L’animazione delle vie, dei negozi, dei venditori ambulanti, è incredibile. Pare quasi che la popolazione si sforzi di apparire convinta che nulla più potrà succedere, se la presenza corale sarà continua e, soprattutto, intensa. Algeri è il cuore, l’unico cuore, di una immensa nazione che si estende dall’antico Mare Nostrum – notevoli le vestigia della presenza romana, quando l’area parlava solo latino e dialetti berberi – giù sino agli spazi infiniti del Sahara, a toccare i confini del Mali, del Niger, della Libia. Algeri è la porta d’ingresso di questa terra bellissima dalle molteplici diversità fisiche. La costa mediterranea assomiglia per molti versi a quelle della Spagna, dell’Italia, con una vegetazione che ritroviamo sui nostri monti costieri, ulivo compreso, con piccole e grandi insenature ad orlare circa duemila chilometri di mare. Lo sviluppo futuro, per ora solo vagheggiato dalle autorità locali, prevede la costruzione di alberghi, di villaggi dotati di tutti i comfort, con la certezza di poter attirare moltitudini di vacanzieri. Per il momento è solo una speranza, precisa Omar, considerati i problemi che la nazione vive ormai da molti anni e la costa rimane vergine o quasi; l’unica attività di un certo rilievo è la pesca, molto praticata.
Omar mi conduce sulla collina che sovrasta la baia sulla quale si erge il grandioso e per certi versi inquietante monumento dedicato agli eroi della guerra di liberazione: tre altissime lame di cemento che si inarcano dalla base per riunirsi alla sommità. Con le prime luci della sera, Algeri si illumina. La baia brulica di natanti e la preghiera del muezzin si diffonde nei vari quartieri. Bellissima città per un turista, Algeri. Omar è certo che il turismo esploderà nei prossimi anni e la sua città, il suo paese, figureranno a buon diritto nei cataloghi dei tour operator di tutta Europa.
È così bella e così dolce, la capitale, con i piedi a bagnomaria nel Mediterraneo.