di URANO CUPISTI
Continua il racconto del tour nell’Islanda, stavolta verso nord, attorno allo Snaefell, il vulcano da cui ha origine l’itinerario del famoso romanzo di Jules Verne, tra fanghi bollenti, lagune blu e guardiani del faro.

 

Prima di lasciare e il profondo sud islandese demmo un ultimo sguardo all’Atlantico dall’alto di una rupe, immaginando di intravedere, sulla linea dell’orizzonte, le Isole Faer Øer, in realtà ben più lontane di quanto la vista consentisse.

Ólafur, la nostra guida-amica (e viceversa) ci ricordò che per gli islandesi esse sono da sempre isole-ponte verso e dalla Gran Bretagna e la Norvegia, da e verso l’Europa quindi, e che da quell’arcipelago arrivano quotidianamente, via mare, derrate alimentari insieme a tanti turisti. All’epoca soprattutto i camperisti, che via le piccole isole riuscivano a “trasbordare” in modo relativamente economico i loro mezzi.

All’epoca di quel viaggio, del resto, gli hotel in Islanda ne erano pochissimi: giusto qualche guest house, quasi sempre con bagni in comune e a prezzi altissimi. La nascente industria turistica offriva per i pernottamenti, limitatamente al periodo estivo, le camere delle scuole sparse su tutto il territorio e funzionanti d’inverno come college. Il camper era quindi, come ancora oggi, una valida alternativa di alloggio e movimento.

“Quando ci sarà finalmente un’unione europea – sentenziò – senza frontiere nè barriere doganali e con un’unica moneta, l’Islanda uscirà dal suo isolamento millenario e da popolo sempre conquistato diverremo europei come tutti degli altri”. Da scettico, gli risposi che le sue aspirazioni mi sembravano sogni destinati a realizzarsi forse in tempi lunghi. Avevo ragione.

La Toyota 4×4 iniziò a percorrere quelle strade inesistenti sulla carta, solo conosciute dal driver Ólafur. Eravamo diretti a oOvest, verso il Parco di Sneaefellsjökull (sembra una bestemmia provare a pronunciarlo), meta ambita da mia figlia Ilaria, nell’occasione travestita da Marion Ravenwood. Era preparatissima su tutto, in particolare sul vulcano Snaefell, la base di partenza del mitico Otto Lidenbrock, professore di mineralogia ad Amburgo, di Axel, nipote adottivo di Lidenbrock, di Hans Bjelke, guida islandese inumanamente impassibile e fedele con la sua Oca Gertrude, di Marta domestica della casa e Graüben la fidanzata di Axel per il Viaggio al Centro della Terra raccontato da Jules Vernwe nel suo celebre romanzo.

Scegliemmo come base logistica Hellisandurrs, un  paesino di pescatori.

Il cratere del  vulcano spento, come al tempo di Verne, si raggiunse con fatica percorrendo il ghiacciaio che lo circonda e salendo fino a circa 1500 metri. Fummo fortunati: dalla sua cima vedemmo Reykjavik molto in lontananza. Furono tre giorni intensi, al termine dei quali, ogni sera, mia figlia ci leggeva passi del libro davanti alle solite birre Viking.

Ritornammo a percorrere la strada n. 1, quella che si snoda su tutta la costa dell’isola, per raggiungere un luogo questa volta scelto da Indiana Jones, ovvero il sottoscritto: il faro rosso di Hraunhafnartang, ovvero la punta più settentrionale dell’Islanda, poco distante dal  Circolo Polare Artico e luogo ideale per osservare il quasi sole di mezzanotte. Non riuscimmo ad arrivarci perché un esercito di Urie, a centinaia e centinaia in quel momento in cova a terra, difesero il loro habitat.

Marcia indietro quindi fino al paesino di Raufarhöfn dell’Islanda. Nell’attesa del quasi sole di mezzanotte riuscimmo però a parlare col guardiano del faro, che si offrì per un passaggio via mare. E la notte-giorno la trascorremmo di fronte a piatti di pesce annaffiato dalla consueta Viking.

Il giorno dopo, dall’alto del faro ci rendemmo conto della vastità dell’esercito delle Urie. Una vasta area bianco-nera in continuo movimento, dall’acre odore del guano e lo stridio incessante delle loro grida. Il guardiano ci fece osservare a nord-ovest  la sagoma dell’isola di Grimsey, oltre il 66° parallelo Nord, oltre il Circolo Polare Artico. Lì davvero osservano il sole di mezzanotte.

Il tour disegnato da Ólafur prevedeva di raggiungere il Lago Myvatn, visitare Dimmuborgir e il suo dedalo di sentieri tra pozze fumanti, il cratere di Hverfjall, uno dei più grandi al mondo, le famose pozze di fango di Hverarond, uno dei maggiori campi geotermici di zolfo che si trova a circa 6 km dal lago Myvatn, il cratere di Leirhnjukur, un bacino di  ribollente e incrostato di zolfo, molto spettacolare, ed infine le terme di Myvatn. Obbligo di immergersi nudi dopo una doccia fredda (si fa per dire visto che era estate).

Passammo sette giorni nel bacino del Lago Myvatan e ogni giorno scoprimmo qualcosa di sensazionale. Avere come guida Ólafur ci permise di lasciarsi affascinare dalla bellezza del paesaggio per niente “infernale” come qualcuno ha scritto, ma di una bellezza unica.

Trascorsa la settimana riprendemmo il “cammino” percorrendo la Strada n. 1, detta anche Strada Anello (in islandese Hringvegur), che è la principale dell’isola e percorre in tondo le sue coste, fungendo da punto di riferimentofisso per qualsiasi avventura nell’interno. La percorremmo per raggiungere Höfn, piccolo centro portuale sull’oceano e nostra base logistica per poi attraversare il Jökulsárlón lago glaciale alimentato dal ghiacciaio Vatnajökull, navigando tra i numerosi iceberg.

Le spiagge calde di Nauthólsvik e la mitica Blue lagoon furono le ultime mete di questo viaggio. Quasi un dovere immergersi per ritemprarsi da un’esperienza a cavallo tra natura, letteratura e fantasia.