Quando il mondo cambia e per ottusità o malizia ci si ostina a far finta di niente, il prezzo è alto. L’incapacità dei liberi professionisti di liberarsi da un’idea di sindacato, prima che del sindacato, ormai radicalmente inservibili, sarà esiziale. L’alternativa è…

La morte professionale dei giornalisti è già arrivata. E non farà prigionieri. Anzi, sì.
Ma la cosa non è rassicurante: siccome lei è crudele, non uccide subito. Prima trasforma le vittime in zombie (qui) e poi le lascia a morire di stenti, nutrendosi dei loro resti sotto forma di voti e di falsa rappresentatività. Così, tanto per darsi una riverniciata di legittimità e celebrare qualche ragnatelosa liturgia propagandistica. Tipo quella di Chianciano del prossimo gennaio.
Parlo dell’Fnsi, è ovvio.
Sì, ok, il mondo del giornalismo autonomo – cioè un calderone senza capo nè coda in cui, artificiosamente e maliziosamente, hanno relegato liberi professionisti e semidilettanti, precari e abusivi, principianti e pensionati – è in subbuglio e da un po’ si agita, forte di costituire ormai il 60% della categoria.
Ma il sistema ha un’abilità diabolica per riassorbire al suo interno, metabolizzandoli, i reprobi. La recente campagna per la scelta dei delegati al congresso lo dimostra. Come lo dimostrano gli argomenti, le tecniche e perfino il lessico archeosindacalese utilizzati nell’occasione. Tutto molto pietoso.
Insomma, il gattopardo è fra noi.
C’è un’unica consolazione. Una sola.
I (pochi) sopravvissuti, vedi ad esempio qui, alla decimazione professionale dell’ultimo decennio sembrano avere gli anticorpi contro ulteriori purghe. Hanno avuto le (s)palle per reggere la botta e ora, se solo riuscissero a organizzarsi e a contrastare la disinformatja federale, che peraltro lavora a pieno ritmo, qualche punto a loro favore lo potrebbero portare a casa.
Il che equivarrebbe, professionalmente, a salvare  la pelle.
A condizione però che escano dal conformismo e dagli schemi precostituiti.
Dall’idea, ad esempio, che il nemico sia, sempre e a prescindere, più l’editore che non i colleghi imboscati nelle redazioni e nell’Fnsi. Imboscati mentali, intendo. Cioè incapaci di capire cosa succede loro intorno nonostante decenni di professione. Per non parlare delle migliaia che non solo sono giornalisti per mera figura, ma ormai capeggiano pure le correnti. Nemici sfuggenti ma insidiosissimi per chi ci campa.
Occorre collettivamente convincersi che alla flessibilità e all’agilità giustamente indicate come le principali risorse di un libero professionista debbano corrispondere tutele altrettanto flessibili ed agili, ottenute senza il ricorso a un leviatano istituzionale ma facendo leva su forme di autorganizzazione basate sull’esperienza e sulla condivisione di esigenze calibrate e adeguate alla bisogna.
In altre parole, serve un’organizzazione comune e orizzontale – chiamatela se volete sindacato, oppure movimento, oppure anche nulla, basta che sia operativa – capace di dare tutela su misura a esigenze su misura.
Per una categoria di piccoli numeri come quella dei liberi professionisti dell’informazione.
I quali non rinnegano affatto di essere giornalisti tanto e quanto gli altri, ma rivendicano, e l’evidenza dimostra che hanno ragione, di essere portatori di necessità previdenziali, assicurative, fiscali e sindacali loro proprie.
Nessuna delle quali potrà essere minimamente soddisfatta nè restando nel calderone tipologico, nè nel sindacato di operetta ove alcuni, con indole masochistica, si accaniscono di restare per mera quanto nostalgica ideologia.