Tanti si lamentano di ruberie e disservizi, esortando i giornalisti (altrimenti “corrotti” o “complici”) a scriverne. Ma poi si rifiutano di fornire le informazioni necessarie. E spesso, quando tocca a loro, i giornalisti si comportano allo stesso modo.
C’è poco da ridere, in effetti.
Con un pungente post (qui) in cui, alcuni giorni fa, stigmatizzava il vezzo della gente di lamentarsi di angherie e pubblici disservizi esortando i giornalisti a scriverne, salvo poi sia rifiutarsi di rilasciare dichiarazioni ai cronisti e di dichiarare il proprio nome, sia accusare la stampa di essere collusa perchè “non dice“, la collega senese Susanna Guarino metteva un dito nella piaga degli italici costumi.
Quelli secondo quali tutti son bravi a lanciare accuse generiche, ma non a circostanziarle e a metterci la faccia. “...La frase migliore, e ripetuta all’infinito, è ‘ma ditelo voi che siete giornalisti‘, riporta la Guarino”. Che giustamente aggiunge: “E allora parlate, urlate, sbraitate se necessario. Il giornalista può darvi voce ma non potrà mai essere il coro delle vostre voci“.
Nessuno insomma vuole esporsi, pretendendo che altri, nella fattispecie i giornalisti, lo facciano al posto suo. Non si capisce da chi o come la stampa dovrebbero apprendere le notizie scottanti se non da chi dice di esserne a conoscenza.
Ma, visto da una diversa prospettiva, il bello di tutto questo è un altro: e cioè che della stessa sindrome soffrono anche moltissimi giornalisti, quando si tratta di denunciare non genericamente, ma puntualmente, i mali, i guasti, le corruttele della loro categoria.
Tutti fenomeni a deprecare a gran voce quello che “sanno tutti“, ma poi nessuno che fiati.
Nel tempo ho raccolto decine di denunce di colleghi che mi invitavano a “fare qualcosa” per impedire malefatte di cui loro, e non io, erano al corrente. Alcuni mi hanno perfino incalzato: “Ma perchè non fai qualcosa, non scrivi, non pubblichi?“.
Quando gli domandavo però perchè non lo facevano loro, visto che erano giornalisti come me, o se almeno erano disponibili a darmi notizie precise facendo nomi e cognomi, puff!, svaniti.
La scusa era ovviamente sempre la stessa, in apparenza inoppugnabile: “Tengo famiglia“.
Peccato che famiglia la tengano tutti, il coraggio in pochi e la dignità ancora in meno.
E allora, sempre per citare la Guarino, “un altro giornalista può darti voce, ma non potrà mai essere il coro delle voci dei giornalisti“.