Controcircuito in rete: mentre si apre uno spiraglio per il riconoscimento giornalistico dei blogger, i duri e puri della categoria rifiutano sdegnosamente l’assimilazione. Furbi, tonti o solo annebbiati dall’ideologia? Roba da “Carta di Firenze” del 7 e 8/10.
“Weird scenes inside the gold mine”, avrebbe scritto Jim Morrison. Dove la miniera d’oro è il web. E le strane scene sono quelle della guerriglia sotterranea e delle prove tecniche di incomunicabilità in corso da un po’ tra i giornalisti da un lato e una speciale categoria di idolatri della rete, i blogger, dall’altra.
In un sistema prossimo al cortocircuito.
Non lo dico io, ma l’evidenza.
E’ infatti paradossale che, mentre – con il ritardo caratteristico della categoria, non proprio onorevole per chi dovrebbe “stare sulla notizia” – i primi si accorgono dell’esistenza dei secondi e dell’anomalia che essi rappresentano nel sistema dell’informazione, concedendo loro inattese aperture e legittimazioni, siano proprio questi ultimi a prendere le distanze dai non-colleghi e a dire: “Giornalisti noi? No grazie, jamais”.
Eh già. Perché se è vero, come è vero, che tanti degli autopresunti operatori del giornalismo alternativo o “diretto”, cioè i blogger appunto, cullano l’inconfessato desiderio di potersi alla fine fregiare del tanto, a parole, bistrattato “tesserino” di iscrizione all’Ordine (mai miraggio fu riposto peggio, ma lasciamogli l’illusione), è vero anche che esiste unnucleo, vasto e variegato di duri e puri. Fieri e ribelli. I quali, arciconvinti che la via luminosa e progressiva verso un’informazione “indipendente” sia ormai tracciata (indipendente da cosa non lo sanno nemmeno loro, visto che la definiscono tale solo se e in quanto promana dalle loro medesime persone, sulla cui indipendenza e incondizionabilità, per non dire consapevolezza e professionalità, ci sarebbe moltissimo da discutere), rivendicano a sé il ruolo di “liberatori” del mondo dal giogo dei delendi giornalisti, all’irridente grido di “indietro non si torna”.
E rifiutano, pertanto, qualsiasi inquadramento nel caldo (ma ahiloro, foriero oltre che di diritti anche di doveri) grembo della professione giornalistica.
Dunque, che si fa?
Ripensavo a tutto questo giorni fa, reduce da un carteggio piuttosto spigoloso con uno dei soliti siti della “controinformazione” (dove peraltro scrivono e sproloquiano in tanti, quindi non capisco perché continuino a chiamarlo blog: casomai è un blar, blog+bar), in cui alcuni esagitati urlavano a gran voce il loro “vade retro” all’idea – a mio parere del tutto logica, per non dire necessaria – che, se avevano tanta ed encomiabile voglia di fare informazione, sarebbe stato opportuno, se non obbligatorio ex lege, iscriversi alla categoria a cui l’ordinamento italiano attribuisce tale funzione: i giornalisti.
Più o meno in concomitanza, infatti, leggevo sul mensile dell’Assostampa Toscana un dotto ed articolato scritto dall’avvocato giuslavorista Guido Ferradini e intitolato “Il blogger che fa informazione è giornalista a tutti gli effetti”. Un titolo appunto paradossale, considerata la nessuna intenzione di molti blogger di essere, diventare e magari comportarsi da giornalisti (pur con la pretesa di svolgerne ruolo e funzioni, nonché di percepirne le prebende, come nel recente caso delle rivendicazioni all’Huffington Post).
Contrattualmente parlando, questa in sintesi la posizione di Ferradini, è la natura dell’attività svolta a determinare l’inquadrabilità del soggetto in una o in un’altra categoria professionale, per cui, nel momento in cui il blogger fornisce a qualcuno (un blog, una testata giornalistica, una qualsiasi impresa) un contributo informativo, egli viene a trovarsi nell’ambito di applicazione del contratto nazionale dei giornalisti.
Traduzione: allegri, blogger! Se scrivete facendo informazione esercitate di fatto un’attività giornalistica e pertanto dovete essere riconosciuti come tali anche dal punto di vista del trattamento economico e contrattuale. E l’avvocato si spinge poi perfino oltre, intravedendo addirittura “un ampio margine di tutela” a loro favore.
Ma allora, come la mettiamo?
Questi benedetti blogger che fanno (o dicono, o tentano di fare) giornalismo sono giornalisti o meno? Non lo sono, ma devono diventarlo? Oppure possono non diventarlo, ma sono comunque tenuti al rispetto della legge sulla stampa, compresa la deontologia professionale? O possono tenere i piedi in due staffe, magari mescolando spregiudicatamente pubblicità e informazione, commerci e notizie, erogazioni di consulenze e conflitti di interesse?
Ecco, sarebbe bello che qualcuno si prendesse la briga di districare quest’intrigo giuridico. Perché, se la notizia non può attendere, la corretta informazione può attendere anche meno.
E ora che ho lanciato il sasso giro la questione ai colleghi, ad esempio ai membri del gruppo “giornalisti digitali”, per sapere che ne pensano. Coll’auspicio che all’assise della Carta di Firenze su “giornalismo e giornalismi” del prossimo 7 e 8 ottobre si trovi il tempo per parlare anche di questa inquietante deriva.