di URANO CUPISTI
Ognuno ha le sue ambientazioni di fantasia preferite. Per Urano, l’Oriente delle favole è proprio il paese di Samarcanda e Bukhara. Ecco come gli apparve quasi quindici anni fa, non si sa però se prima o durante la digestione del piatto tipico uzbeko…
Da sempre i viaggiatori hanno alla base delle loro scelte le motivazioni dovute ad amicizie comuni, obbiettivi geografici, desideri di nuove esperienze e letture di libri hanno lasciato tracce indelebili.
Le Mille e una notte, ad esempio, l’ho letto da grande. E da subito l’ho abbinato un paese dell’Asia centrale che fosse la sommatoria di fascini orientali, vie della Seta, imprese di Tamerlano e di Alessandro Magno e così via. Fino ad arrivare a Sem, figlio di Noè, che scavò un pozzo nel bel mezzo del deserto dove oggi c’è Khiva. E poi ovviamente Alì Babà e i quaranta ladroni, anch’essi trasmigrati dalla mia fantasia in quello che oggi è l’Uzbekistan.
Paese che sembrava, fino a pochi anni fa, l’impenetrabile roccaforte rimasta “quasi” intatta della cultura del fascinoso Oriente arabo.
Ed eccomi, “infedele occidentale”, alla ricerca dei luoghi che hanno ispirato gli scrittori di leggende e favole. Ma anche gli storici alla ricerca di verità nascoste. Ecco perché mi sono ritrovato in questo paese, oggi l’insieme di mille contraddizioni. Attesi il normalizzarsi della situazione politica dopo l’indipendenza (1991) e, nel 2004, via verso il blu importato dalla vicina Persia, verso gli incensi, verso i pugnali ricurvi d’argento, i retaggi del Tamerlano, verso un paese dove le distanze tra le città sono enormi e dove tutt’oggi ci vogliono ore ed ore per percorrerle con il fuoristrada.
Samarcanda. “Qui ci si dimentica di tutto”, mi fu detto quando mi trovai nella piazza del Registan, con le sue tre madrase, imponenti, uniche. Un equilibrio nelle forme e costruzioni. Città luminosa, senza tempo, pronta a farsi visitare e raccontare. E qui in questa piazza il racconto leggendario di Bibi-Khanum, la favorita di Tamerlano e della Paranja, il burqa di Samarcanda. Baci di un temerario amante segreto, la scoperta da parte di Tamerlano e l’inevitabile “tuffo” dal minareto più alto. Ma Bibi-Khanum si salvò grazie al suo particolare burqa che fece da paracadute. Da quel momento, l’obbligo per le donne di indossare il burqa di Samarcanda: sia per non indurre in tentazioni che per non indurre a desiderare la donna d’altri.
Mi sono trovato di notte al centro della piazza per capire la Samarcanda dell’arcinota canzone di Roberto Vecchioni e il titolo della trasmissione televisiva di Michele Santoro. Tutt’altre Samarcande. La mia è quella che rimanda il nome ad epoche affascinanti e remote.
Ogni angolo di Samarcanda ha a che fare con Tamerlano. Il mausoleo di Gur-e-Amir, luogo di sua sepoltura, simile al Taj Mahal, il complesso funerario di Suh-I-Zinda, con i resti, così si racconta, del santo più famoso dell’Islam, Kasim Ibn Abbas.
Infine il bazar, luogo dove lasciarsi perdere tra odori, rumori e sapori. Luogo vivo della Samarcanda di oggi che sa di antico. Luogo vero, fulcro della vita frenetica di una città che non vuol essere solo un mausoleo.
Bukhara, la città dove il riposo è limitato a poche ore della notte. È talmente “tanta” che non hai attimi da perdere. La scoperta delle meraviglie della città vecchia, i 12 Km di fortificazioni, la moschea di Kalon con il celebre minareto simbolo della città, nel centro religioso di Poikalan ed infile la madrasa di Mir-i-Arab, una delle scuole coraniche più famose dell’Asia Centrale. Senza dimenticare la moschea di Balyand, quella di Tok-I-Zarganu e la madrasa di Uluz, meno turistica, più vera. Fascino particolare è stato trasmesso dal Palazzo d’estate dell’ultimo emiro Sitorai Mokhi Khossa, lontano dal centro storico con le tante collezioni di tappeti in seta e in lana. In particolare per i suoi suzanas, tessuti che adornano le pareti. C’è spazio anche per ricordi che riconducono alla nostra Bibbia. Vi ricordate il patriarca Giobbe, quello della “pazienza divina”? Personaggio vissuto, pare, da queste parti e ritenuto dai musulmani un profeta. Ebbene esiste un luogo venerato a Bukhara dal nome Tcharma Ayub dove Giobbe, in versione profeta, fece sgorgare una sorgente.
All’imbrunire la visita di Tchor-Minor con i quattro minareti turchese che, illuminati da un sole “stanco”, mi hanno lasciato senza parole.
L’ultimo giorno passato a Bukhara l’ho voluto trascorrere tra la gente, nelle viuzze del centro storico, tra i numerosi mercatini dove “trovi di tutto” e ti aspetti, dalle porte dei piccoli o grandi palazzi, uscire Aladino con in mano il suo tappeto, pronto a zigzagare sopra le nostre teste. Anche se la fiaba risulta ambientata a Bagdad, Bukhara ne potrebbe essere una ambientazione cinematografica perfetta.
E la sera: plov.
È ad Alessandro Magno che si deve uno dei più antichi riferimenti letterari a questo tipico piatto uzbeko. Egli stesso racconta infatti che, durante un banchetto reale organizzato dopo la conquista dell’attuale Samarcanda, gli fu servito del plov. E si ritiene che furono i soldati del suo esercito a diffondere questo piatto in Macedonia. Del plov, sul quale sono fiorite numerose leggende, esistono diversi tipi e varianti. Secondo la ricetta classica uzbeka il riso viene cotto al vapore e mescolato in un ricco intingolo a base di carne (capra e pecora) e verdure (carote, cipolle), sino a quando non ha assorbito tutto il liquido.
Lo ammetto, però: dopo aver assaggiato il “tradizionale” ho optato per quello “internazionale“, a base di pollo e decisamente più digeribile.
(1.continua)