Alta Fedeltà è una blog-zine, ma è in ferie da due settimane. E ci resterà per un’altra ancora, con scelta precisa e preventiva. Un po’ per prova e un po’ per evidenza. Ma soprattutto per riflettere sul senso: non del mezzo, ma degli argomenti.

Non starò a intrattenervi sul tema, abusatissimo e autorevolmente trattato in passato da penne ben più competenti della mia, della cosiddetta “stanchezza del blogger“. Cioè della noia, improvvisa e soffocante, che a un certo punto sembra cogliere chiunque abbia dedicato, magari per anni, tempo ed energia a un blog.
Non lo faccio perchè, primo, non sono un blogger (sempre che l’espressione abbia un senso, visto che il blog è solo un mezzo) e, secondo, perchè la mia non è stanchezza da abuso dello strumento. Insomma non me ne sono annoiato.
Non sto a intrattenervi neppure sulla questione, di nessunissimo interesse per nessuno, di una mia eventuale, personale stanchezza.
Solo che a un certo punto, alla fine di luglio, ho cominciato a chiedermi se la trattazione di certi argomenti – quelli che avete sempre visto affrontati qui – aveva una reale utilità per qualcuno.
Che ne avesse per me, è ovvio.
Ma poichè non faccio parte del vasto novero di esibizionisti che ama mettere in piazza i propri pensieri e le proprie opinioni, bensì si illude di far parte di una comunità e di contribuire ad alimentare un dibattito su questioni di interesse generale, mi sono fatto una domanda: cui prodest?
Ecco, la risposta non è stata confortante.
Nemmeno del tutto scoraggiante, per carità.
Ma, insomma, si parla di giornalismo e la professione è in coma profondo, ai limiti dell’irreversibile, e quindi ogni discorso rischia di tradursi in un inutile parlarsi addosso al cospetto di tanti colleghi cronicamente illusi, si parla di viaggi quando non viaggia e non ne scrive più nessuno (al massimo si va sul Mar Rosso barricati nel resort per approfittare dei megaribassi dei tour operator e non avere rimpianti da saldo perduto mentre lì c’è la guerra civile), si parla di enogastronomia in un mondo autoreferenziale in cui a chiunque basta aver seguito un corso serale di degustazione di qualcosa per credersi un palato evoluto, si parla di agricoltura che è un settore in ogni senso equivalente al giornalismo solo che invece della penna si usa la zappa (con risultati spesso intercambiabili, vedi qui), si parla di musica rock che è ormai una nicchia da nostalgici incanutiti e ha perduto, forse irrimediabilmente, il format-base per il suo apprezzamento e la sua diffusione, cioè l’album, si parla di libri e varia cultura in una società formalmente iperscolarizzata, dove però si pensa che Dulcinea sia Pulcinea e che Lorenzo il Magnifico sia un antico romano.
Avere opinioni ed esprimerle ha un senso se ci sono altri con cui confrontarle dialetticamente.
Ma se l’interlocutore è privo di idee proprie, o se ne ha solo in forma di granitiche certezze manichee, o galleggia nel liquido amniotico di un’inguaribile ottusità, che buoni discorsi potranno mai sortirne?
E sì che di soddisfazioni, contraddittori, perfino baruffe ne ho avute tante grazie a questa blog-zine.
Solo che spariscono al cospetto della mole enorme di chi sembra non trarne alcun beneficio e di non voler in nessuna maniera approfittare dell’opportunità che gli viene offerta.
Forse, allora, dovrei cambiare qualcosa. Forse molto.
Forse tutto?
Tranquilli: non dedicherò il ferragosto a queste considerazioni…