Nel nome di un malinteso uso “democratico” dei luoghi di cultura e di un’accezione abominevolmente estensiva dell’aggettivo imperversa la prassi, resa lecita dalle norme vigenti e spesso incentivata dal desiderio degli amministratori di omologarsi alle mode più deteriori, di utilizzare musei, palazzi storici, monumenti e giardini vincolati per ogni sorta di manifestazione mondana. Ovvio che furbi e mercanti ci vadano a nozze (appunto) e, tra miasmi di minestrone, sushi e maionese liquefatta dal caldo, portino gli “stuzzichini” in trionfo tra i Van Gogh.
Diciamolo subito, apertamente: appartengo alla categoria di quelli che aborrono la retorica secondo cui i luoghi di cultura vanno “fruiti” e “aperti” anche per usi diversi da quelli per i quali sono nati. Per essere ancora più espliciti: credo che musei e monumenti debbano restare tali, contesti cioè destinati alla conservazione, alla tutela e alla contemplazione dell’arte, che sono dei valori di per sè meritevoli e anzi prevalenti rispetto a tutti gli altri. Tali, quindi, da giustificare ampiamente, da soli, il costo, economico e non solo, che la comunità sostiene per la loro esistenza, custodia e manutenzione. Nei musei ci stanno le opere d’arte, nelle biblioteche i libri, nei giardini le piante rare e l’ingegno di chi le ha assemblate, negli auditorium e nei teatri stanno la musica e la recitazione e così via. Non c’è alcun bisogno di portare i concerti nei musei, le commedie nelle biblioteche, le mostre nei teatri.
Men che meno c’è bisogno di consentire che in questi luoghi si svolgano manifestazioni solo latamente “culturali” (rectius: subculturali, per non dire di peggio) come spettacoli di intrattenimento, manifestazioni mondane o promozionali, etc. Se non vedo del resto quale valore aggiunto potrebbe venire a un’esecuzione di musica di Chopin dal fatto di essere eseguita al cospetto di un capolavoro di Caravaggio o quale maggiore godimento intellettuale dovrebbe dare una mostra di Paul Klee allestita sotto le logge di una villa nate per accogliere non dipinti ma piante ornamentali, men che meno comprendo quale sia il vantaggio (tranne l’eventuale incasso degli organizzatori e/o dell’erario e il piacere di chi partecipa) nel consentire party e buffet nelle sale di un museo e stravaganze simili.
Tutto questo, e molto altro, mi è tornato in mente leggendo sul corriere on line di oggi la notizia (qui) che la Soprintendenza ai beni artistici e storici di Caserta e Benevento intenderebbe adire le via legali contro tal Silvia Aprile, presunta stellina della musica leggera (“nel 2009 ha duettato a Sanremo con Pino Daniele ed ha partecipato a una edizione di X Factor”, precisa l’articolista: mi cojoni che vip, verrebbe da dire) dopo che la stessa avrebbe surrettiziamente utilizzato la reggia di Caserta per organizzare la propria festa nuziale camuffandola (e per tale spacciandola nella richiesta di concessione del monumento, presentata alle autorità, per aggirare i divieti) da showcase per stampa e discografici del suo nuovo cd. Dicendo in pratica, cioè, che si sarebbe trattato di un evento promozionale con “cena di gala destinata a discografici, giornalisti, operatori tv e critici”, mentre invece sarebbe stato un banale e probabilmente cafonissimo banchetto nuziale di due piccioncini appena appena ubriachi di (presunta) celebrità.
Giuste quindi le ire della soprintendente, che si è sentita raggirata e presa in giro dal momento in cui l’inautorizzabile festa gli è stata presentata come un autorizzabile “evento culturale”.
Ma qui casca l’asino: una serata promozionale, un evento mondano, un intrattenimento seppur istituzionale, un’inaugurazione, una qualunque manifestazione anche non espressamente ludica o godereccia è di per sè considerabile “culturale” e quindi autorizzabile all’interno di un bene vincolato?
Sia chiaro, non ne faccio una questione strettamente di legge e pertanto non mi sono nemmeno sono preso la briga di andare a spulciare il codice dei beni culturali per esaminare la casistica, ma una questione prima di tutto di logica e di buon senso. Può anche darsi, cioè, che l'”evento” consistente nella serata di lancio di un cd di canzonette possa in punta di codice essere considerato “culturale” e che di conseguenza una Soprintendenza non possa esimersi dal concedere l’uso del contenitore richiesto. Ma se anche così fosse, non è profondamente ridicolo e ipocrita? Non trovate che una serata mondana o promozionale possa benissimo essere organizzata con successo e ottimi risultati anche senza “occupare” regge, palazzi storici, musei, giardini? E che sia assurdo che invece esistano norme che lo consentano?
In definitiva non vi sembra, come sembra a me, che nessun alibi “culturale” possa giusitificare la presenza di crostini colanti maionese, calici di prosecchino, piatti con rimasugli di risotto agli asparagi, bevute spacciate per “degustazioni”, montagne di tovaglioli di carta, odori di minestrone e ribollita all’interno di maestose gallerie, saloni monumentali, corridoi onusti di dipinti e statue antiche? Mi pare – rischi di danno a parte, che si dà per scontato siano (ma davvero?) assenti o comunque ampiamente prevenuti – una cosa che offende la dignità e la serietà della cultura. E l’ulteriore sintomo di una deriva egualitaristica che, nel nome del livellamento al ribasso, tende ad assimilare troppe cose tra loro.
Dichiaro aperto il dibattito.