Data la sospensione generale da contingenza sanitaria e istituzionale, meglio non fare commenti su un mestiere che potrebbe implodere da un momento all’altro. Bisogna invece interrogarsi su come rifondarlo, anzichè restaurarlo. Cominceremo presto.

 

Il bavaglio alla stampa – quello sbandierato dai soliti noti quando fa comodo, ma che comunque è più sottile, raffinato, complesso e articolato di come si racconta – stavolta non c’entra.
C’entra invece il fatto che, vista la purtroppo prolungata contingenza istituzionale e sanitaria, oggi pare perfettamente inutile parlare del giornalismo in Italia. E quindi anch’io sono tentato di astenermene per un po’, nonostante le tante sollecitazioni dei colleghi.
Non è che gli argomenti manchino (pensiamo al nodo del rinnovo delle cariche nell’Odg). Mancano però le prospettive per sostenerli.
Questo è infatti ormai un mestiere in cui tutto traballa e la sensazione è che potrebbe implodere da un momento all’altro: l’Ordine, il sindacato, la previdenza, la committenza e il comparto editoriale in generale. Tutto, appunto.
In questo clima di assoluta incertezza, qualunque cosa si dica sul futuro, si rischia di sbagliare.
Le uniche sicurezze sono due, ben consolidate: da un lato le falle ormai croniche apertesi nel sistema in decenni di sinecura politica e di pietosi giochi di correnti e, dall’altro, il fatto che le indirette conseguenze del Covid sulla professione saranno durature, se non in molti casi esiziali.
Credo quindi che la categoria, o ciò che ne resta, dovrebbe cessare di interrogarsi su un destino che a breve appare segnato e farsi invece parecchie domande, o magari mobilitarsi, sul proprio domani a medio-lungo termine. Con soli fini ricostruttivi, non restaurativi.
Ma ciò significa riflettere anche individualmente, anzichè confrontarsi in pubblico sui frusti temi di un’attualità giornalistica che richiama i proverbiali capponi di Renzo.
Insomma è l’ora di ragionare tra sè e sè. O al massimo tra noi, ma a porte chiuse, con obbiettivi chiari.
Io comincio adesso (ad esempio qui), in attesa di chiamare a raccolta i colleghi su temi specifici.
Almeno per adesso, dunque, viva Pirrone, l’afasia e Arpocrate, dio del silenzio.