L’incompatibilità tra scrivere e comunicare è un problema su cui, di solito, la categoria preferisce glissare. A luglio OdG e Fnsi toscani l’avevano sollevato, chiedendo di mettere dei paletti. Ora ci riprovano. Sullo sfondo di altri “equi” punti su cui discutere.
I soliti maligni (non io, stavolta!) dissero che si trattava della tipica faccenda balneare, a orologeria. Sollevata affinchè tutti, con le ferie, se la dimenticassero subito. Ma un comunicato di oggi riporta la cosa d’attualità.
A fine luglio mi aveva fatto un gran piacere veder finalmente eccepito (qui) alla luce del sol(leon)e, dalle istituzioni giornalistiche, un nodo davvero delicato, direi pure decisivo, per la difesa della credibilità della nostra professione: la compatibilità tra le funzioni di ufficio stampa e quelle di collaboratore (per non dire di redattore, ma esiste anche questo ed è assai frequente) di una testata giornalistica.
La faccenda, dalla conclusione teoricamente ovvia, nella pratica non lo è affatto.
Perchè se parrebbe lampante che chi fa il giocatore non possa anche fare l’arbitro, nel mondo reale le cose sono infinitamente più sfumate, spalmandosi su un vastissimo ventaglio di situazioni che vanno dal legittimo al sottaciuto, dal tollerato all’incentivato, secondo le diverse circostanze e sensibilità. Detto in soldoni: i casi di imbarazzante conflitto di interessi tra chi “compra” e tra chi “vende” notizie si sprecano.
Chiarisco preventivamente alcune cose. Uno: non faccio uffici stampa da tempo immemorabile. Due: ho smesso perchè è un lavoro che non mi si attaglia e perchè non voglio mai trovarmi, neppure potenzialmente, in condizione di imbarazzo. Tre: quello dell’ufficio stampa è un lavoro difficilissimo e ingrato, che richiede alta professionalità e profonda esperienza. Quattro: è ridicolo lo snobismo con il quale gli “scriventi” additano i loro colleghi che curano (se correttamente) uffici stampa.
Sull’argomento, assai controverso, si combatterono anche, alla fine degli anni ’90, epiche battaglie deontologiche nell’ambito di alcuni gruppi di specializzazione, con fratture perfino personali divenute spesso insanabili.
Un po’ a sorpresa, nel cuore dell’estate esce così il documento congiunto di OdG e Assostampa toscana che, facendo proprio quello della Commissione uffici stampa dell’Ast, affronta il discorso in modo problematico e invita a aprire una discussione franca, proponendo la “creazione di un osservatorio che monitori il problema, raccolga le segnalazioni e ne affidi la valutazione agli istituti di categoria, in una logica di trasparenza“. E il comunicato odierno conferma che l’organismo nascerà “nelle prossime settimane“.
Iniziativa ottima! Purchè abbia un seguito concreto, naturalmente.
L’attività di ufficio stampa senza dubbio richiede una professionalità e una sensibilità di tipo giornalistico e rientra quindi, non ci piove, tra le pratiche giornalistiche. Il che tuttavia non toglie che chi desidera, parallelamente a quella, esercitare la professione scrivendo anche articoli sui giornali, debba prestare la massima attenzione ad evitare situazioni di conflitto di interessi. Anche solo eventuale.
Perchè sotto questo aspetto il nervo è, per default, scoperto: non basta evitare la sostanza, ma pure il fumus e perfino l’eventualità.
La casistica è infinita. E i casi più ambigui sono quelli che spesso nascondono le insidie deontologiche maggiori.
Si va dall’estremo di un portavoce del sindaco – incarico con ogni evidenza politico e perciò, per definizione, di parte – che, con estrema disinvoltura, cambia di scrivania e va a fare cronaca sulle pagine del quotidiano cittadino, a quello del professionista che affianca la normale attività di cronista a quella di addetto stampa per aziende private e in settori che in nulla interferiscono con la prima.
Nel mezzo, c’è di tutto.
Ora, non nascondiamoci dietro a un dito.
La “normalità“, a mio parere, sarebbe che un giornalista facesse o l’una o l’altra cosa. Ma trovo legittimo che qualcuno possa scegliere di farle tutte e due (con l’aria che tira, per gli autonomi oggi campare di soli articoli è diventato molto difficile anche se questo non deve diventare un alibi). A condizione che, appunto, stia ben attento ad evitare circostanze ambigue.
E qui casca il primo asino.
Poi ce n’è un secondo, più sfumato, ma che tira altri bei bei calcioni scomodi. Il seguente: essendo l’attività di ufficio stampa di solito piuttosto ben remunerata, e comunque infinitamente meglio remunerata rispetto allo scrivere articoli (non a caso il dibattito sull’equo compenso è in corso), essa tende ad essere di gran lunga prevalente tra le fonti di reddito del giornalista. Con la conseguenza da un lato di ridurre molto il concreto interesse di questo a farsi pagare in modo congruo gli articoli che scrive e di accrescere il pericolo, dall’altro, che egli continui a scrivere non per necessità di reddito, ma per soli motivi di prestigio, praticando così tariffe stracciate e facendo concorrenza slealissima verso chi, invece, vive di sola scrittura.
La questione, insomma, è parecchio spinosa.
Quindi i casi sono due: o la miccia accesa dall’OdG Toscana e Ast scatena da subito un dibattito serio e fa esplodere il candelotto di una questione da troppo tempo latente, oppure il candelotto torna in ferie e, quando la miccia finisce, non trova nulla da far esplodere.
Riuscirà la categoria a farsi sfuggire quest’ennesima opportunità di ridare un po’ di presentabilità alla professione?