Con la rivoluzione del voto elettronico, dal 13/10 i giornalisti sono chiamati al rinnovo dei vertici dell’Odg: niente più scuse per astenersi da parte di chi (autonomi, specializzati, precari, etc) è da sempre ai margini della categoria. E’ il momento di dare un segno di vita o tacere per sempre.
Non sono sufficientemente addentro alle famose sacre stanze, nè ho voluto addentrarmici, per sapere se quello per l’imminente consultazione per il rinnovo dei vertici dell’Ordine dei Giornalisti sarà un v(u)oto a rendere o un v(u)oto a perdere.
L’ideale sarebbe che non fosse nessuna delle due cose.
La categoria infatti arriva alla tornata elettorale stremata non solo dalle proprie correnti interne, di cui la penosa gestione dell’ente di previdenza è solo la cima di un iceberg, ma da un contesto professionale generale che ha tutta l’aria di essere a un punto di non ritorno.
E’ dunque legittimo pensare che dalle elezioni del 13 e 14 ottobre, o del 20 e 21 ottobre in caso di mancanza di quorum in prima convocazione (ma occhio: per calendario e modalità, vedere qui) …), non potrà giungere non solo nulla di buono, ma neppure di utile.
Sullo sfondo si agita tuttavia, a rendere il tutto assai incerto, un fantasma inedito. E’ quello della vexatissima quaestio del voto elettronico, che, dopo essere stato oggetto di una battaglia legal-istituzionale intestina non da poco (non a fini di trasparenza, si capisce, ma solo di potere), a questo giro potrebbe partorire o il classico topolino, poi facile preda del gatto abolizionista, o una qualche rivoluzione copernicana.
Il perchè è presto detto e noto da tempo: la vera ragione della diffidenza verso le modalità digitali era infatti la loro scarsa controllabilità, sia in termini di capacità di orientamento e magari di estorsione del voto, sia in termini di affidabilità, genuinità, segretezza del medesimo, e non certo verso la solare idoneità dello strumento a garantire il massimo possibile della partecipazione [ndr per i non addetti ai lavori: con buona pace delle copiose mani di vernice democratica con cui il sistema ama dipingersi, i suoi membri, cioè i giornalisti, sono assai poco adusi all’esercizio del diritto e, in media, solo un decimo degli iscritti all’OdG va a votare; un decimo che è il frutto della media tra il 25% dei professionisti e il 5% dei pubblicisti. Mi si perdoni la percentuale memocchiometrica, ma anche nel caso sono certo di non sbagliare di troppo].
Insomma si potrà votare per i vertici degli Odg Regionali e per il Consiglio Nazionale dell’Ordine sia in persona che in modalità telematica.
In questa prospettiva c’è chi si è mosso da tempo, tessendo le reti di rito, e chi invece sta giocando di sorpresa, presentando candidature e “santini” estemporanei: chiamansi tali le liste precompilate correntizie che si usava spedire a domicilio e poi, non si sa mai, anche infilare alla chetichella, come pro memoria, nel taschino degli elettori all’ingresso nella cabina elettorale. Notare bene che questo sistema parrocchiesco del voto per lista non avrebbe nulla a che vedere col modello prescelto, giacchè quella dei giornalisti è una votazione individuale e la preferenza può essere data quindi a chiunque sia iscritto all’albo, candidato o meno, da solo o in compagnia: le incrostazioni della mentalità partitica sono però dure da rimuovere in una categoria come quella dei giornalisti, rigidamentre organizzata per caste ideologiche.
Il bello di tutto questo è che, per una volta almeno (nel mio caso, la prima da quando faccio questo lavoro), non si sa ancora del tutto come andrà a finire e ciò aggiunge certamente sale alla minestra.
Meglio ancora: comunque vada si avrà la garanzia che gli eletti saranno tali non in virtù del solo voto dei soliti militanti, ma di qualche consenso random in più. Forse percentualmente uguale, ma numericamente ben più consistente.
Insomma, è un’opportunità enorme.
Per tre motivi.
Quello evidente, cioè che stavolta non ci sono più scuse nè pigrizia a giustificare l’astensione.
Quello meno evidente, sebbene più importante: messa in condizione di votare “comodamente”, attraverso il suffragio la categoria è chiamata a dimostrare che esiste, che ha cioè una coscienza, una consapevolezza, un’identità, una volontà, un’idea di sè qualunque essa sia, e non demandata ai “professionisti” della politica giornalistica.
E infine quello più apertamente rivoluzionario: stavolta anche gli emarginati del giornalismo (autonomi, precari, specializzati, etc), di solito tra lo scoraggiato e il distratto in occasione di questi appuntamenti, potranno esprimersi e votare mirando a far eleggere propri rappresentanti negli organi professionali, o almeno a far pesare numericamente la propria voce, visto che non soltanto il 70% di quanto oggi pubblicato in Italia è frutto del lavoro di chi opera fuori dalle redazioni, ma che la metà del pubblicato afferisce alla cosiddetta stampa specializzata. Una massa che, nel gioco perverso della sinecura propria e altrui, è da quarant’anni priva di qualsiasi attenzione da parte delle istituzioni giornalistiche, che spesso si sono comportate come se essa quasi non esistesse.
Se anche a questo turno dovessero esprimersi quattro gatti, sarebbe il caso di prenderne atto e di accodarsi al coro di quelli che l’Ordine vorrebbero abolirlo, consegnandolo nelle mani di quei callidi secondo cui “giornalista è chi giornalista fa“.
Poi, però, immaginate di dover andare sotto i ferri e, prima di sprofondare tra le braccia di Morfeo, di vedere il vostro macellaio di fiducia affilare i bisturi al grido che “chirurgo è chi chirurgo fa“.
Quindi tutti al voto e poche storie!