Al grido demagogico di “siamo tutti giornalisti”, da tempo la professione si è inconsciamente consegnata ai dopolavoristi. I quali poi, democraticamente è chiaro, prendono decisioni su una professione che non fanno. E giudicano l’operato dei colleghi professionali. Vi pare normale?

L’egualitarismo è un cancro strisciante che genera mostri. Anzi, leviatani. E la retorica “democratica” è l’oppiaceo in grado di narcotizzare – o di ridurre al silenzio per sopraffazione – qualunque mente che, in un sussulto di buon senso, osasse solo ipotizzare di uscire dal gregge e di dire le cose come stanno.
Lo dimostra un recente battibecco tra colleghi, su FB, a proposito del regolamento dei consigli di disciplina all’interno dell’OdG.
Esempio pratico: c’è qualcuno intellettualmente normodotato che troverebbe accettabile un’interferenza di avvocati o di geometri appassionati di medicina sulle regole che disciplinano l’esercizio della professione medica? Risposta: no.
Ci sarebbe qualcuno che troverebbe tollerabile che chirurghi con l’hobby del fai da te dettassero le norme sulla responsabilità dell’operato tecnico degli ingegneri nella costruzione di ponti e viadotti? Nemmeno.
Si troverebbe normale che agronomi col pallino del diritto giudicassero il lavoro dei notai? Ovviamente no.
Perché nessuno è in grado di conoscere e valutare meglio dei diretti interessati i problemi di una professione diversa dalla sua, se non la esercita in modo continuativo e, appunto, professionale.
Preferireste insomma farvi operare dal primario o da un suo ex compagno di corso che, finiti gli studi, al bisturi preferì aprire una trattoria in Trastevere? Tutti e due medici sono, ma…
Ecco, ciò è vero per tutti tranne che per i giornalisti.
L’unica categoria della quale, del resto, si può entrare a far parte, e restarci, senza prima aver dovuto dimostrare di saper far nulla e in cui si possono scalare i vertici ordinistici pur facendo qualunque altro mestiere.
La scalata è facile, perché la grottesca frammentazione non solo tipologica (professionisti contro pubblicisti), ma subtipologica (destra, sinistra, estremisti, moderati con relative correnti e capibastone, filogovernativi e antigovernativi, transfughi vari, nemici di qualcuno, amici di qualcun altro, pensionati che lavorano, pensionati che non lavorano, pubblicisti professionali, pubblicisti dilettanti, freelance veri e freelance finti, gente che crede di essere una cosa senza sapere di esserne un’altra, precari a vario titolo e specie, abusivi, false partite iva, principianti smarriti, non più principianti ma tonti, finti tonti, carrieristi, spie, quinte colonne, furbastri, pesci in barile, secondolavoristi, volontari e dilettanti puri) sbriciola il fronte in infinite schegge che poi, più o meno consociativamente, trovano ampia rappresentanza o modo di esistere in quel grande consesso ordinistico che è il Consiglio Nazionale.
Organo pletorico (eufemismo) ove meglio di tutti si muovono, come sempre accade nei consessi complessi, quelli che hanno meno da fare, i dilettanti e le cariatidi.
Risultato: l’Ordine dei giornalisti è ostaggio dei carrieristi, ovvero di arzilli vecchietti rimasti all’era del ciclostile e di dilettanti che vivono facendo altri lavori (avvocati, commercialisti, idraulici), ma in compenso applicano diligentemente la logica della corrente di appartenenza e in base ai desiderata della medesima comandano, ordinano, indirizzano, organizzano, pilotano i pacchetti di voti, con ciò che ne consegue in termini decisionali. Figli della cronica e grigia inerzia burocratica che da sempre ammanta l’Ordine intero, in un insieme di sinecura, disinteresse e scarsissima consapevolezza di sé e della propria professione.
Formalmente ed egualitaristicamente parlando, anche costoro sono giornalisti come tutti gli altri. Ci mancherebbe.
E non intendo negargli questo diritto.
Ma da qui ad accettare che proprio a costoro spetti, per la semplice forza dei numeri e di un malinteso senso di egualitarismo, il timone della nave, ce ne corre.
Ecco, questo è più o meno quello che bolle in pentola nel gran mondo del giornalismo italiano, tra una riforma mancata, le elezioni imminenti con relativa campagna elettorale in pieno corso, un sindacato da operetta, tanti giornalisti (veri) a spasso e tanti altri (finti) a passeggio, aspettative vanamente riposte in governo e parlamento interessati a tutt’altro, editoria in caduta libera e una gioventù scelleratamente protesa ad inseguire un mestiere in preda agli ultimi rantoli.
Già, però “siamo tutti giornalisti”.
Che culo.