Il collega Saverio Paffumi ha scritto (qui) una condivisibile favola sindacale sui “Muratori di Bengodi”, cioè i giornalisti orfani del sindacato. Allora ne ho scritta una, parallela, sul cosiddetto ricongiungimento dei pubblicisti. Enjoy!

Gli idraulici di Godipoco (un dramma professionale), di Stefano Tesi.

Nel paese di Godipoco gli idraulici erano riuniti in un’organizzazione che si curava della loro attività e della formazione degli apprendisti. Tutti gli artigiani dovevano conoscere i segreti del mestiere e saper eseguire il lavoro a regola d’arte.
Godipoco era una piccola cittadina, con pochi idraulici. Quando gli anziani andavano in pensione, i più giovani gli davano il cambio. Qualcuno era bravo, qualcuno meno, chi più caro e chi più economico, ma i clienti non si lamentavano e l’organizzazione era contenta perchè ai soci il lavoro non mancava.
Gli aspiranti idraulici dovevano dimostrare la conoscenza del mestiere e il rispetto per colleghi e utenti. Non si tolleravano eccezioni.
Per queste ragioni gli idraulici di Godipoco guadagnavano abbastanza da vivere dignitosamente. Chi non riusciva a conseguire il brevetto o a conquistarsi una clientela propria, si dedicava in pace ad altre attività.
Un giorno, però, un idraulico si accorse che gli affari cominciavano a zoppicare a causa della crisi economica.
Per accaparrarsi qualche cliente in più, cominciò a chiedere un euro in meno dei colleghi. Questi si adeguarono e cominciarono a chiedere un euro meno di lui. A sua volta la gente cominciò a chiedere sconti sempre più grandi.
Sulle prime la cosa provocò tra i cittadini una certa euforia, perchè i prezzi delle riparazioni scesero velocemente. Dalle città vicine cominciarono ad arrivare altri artigiani con tariffe ancora più convenienti, ma spesso improvvisati.
Tutti si associavano all’organizzazione degli idraulici di Godipoco, che così crebbe velocemente e triplicò i suoi membri. I quali però, per lo stesso motivo, cominciarono a guadagnare molto meno di prima e a eseguire riparazioni sempre meno accurate.
Impegnata a gestire la mole degli iscritti e il proprio ruolo sociale, l’organizzazione principiò a trascurare la formazione delle nuove leve e smise di vegliare sul rispetto delle regole d’arte, concedendo con troppa facilità il brevetto. Quello dell’idraulico era inspiegabilmente rimasto, nonostante la crisi, un mestiere molto ambito a Godipoco e le quote di iscrizione all’organizzazione, sempre più numerose, consentivano all’ente una certa agiatezza e un certo potere.
In breve, il prezzo delle riparazioni si dimezzò, ma la qualità del lavoro diventò scadente.
L’organizzazione si trovò assediata dalle contestazioni dei clienti insoddisfatti e da soci impreparati, sempre più preoccupati per la scarsità dei guadagni. Molti si dedicavano già ad altre attività più remunerative, ma per non perdere la qualifica di idraulici preferivano comunque mantenere aperta la loro bottega. Anche in perdita.
Godipoco si riempì così di aspiranti idraulici, di finti idraulici e di idraulici veri ma senza lavoro: tutti volevano scrivere “idraulico” sul campanello.
La cosa preoccupava molto l’organizzazione: come rimediare?
Il consiglio di amministrazione si riunì e, dopo una notte di discussioni, pensò di aver trovato la soluzione: bastava abbassare gli standard di qualità delle riparazioni e quelli di perizia pretesa dagli associati. In questo modo chiunque avrebbe potuto prendere il brevetto, fregiandosi facilmente della qualifica di idraulico, e l’organizzazione avrebbe mantenuto alto il numero dei soci, sebbene tutti ormai praticamente idraulici disoccupati.
Fu così che Godipoco diventò l’unica città al mondo dove tutti sono idraulici, ma nessuno lo fa per davvero.
E dove tutti i rubinetti perdono.