Salvo Benvenuto Brunello, me le sono fatte tutte. Causa covid, le premesse logistico-organizzative erano surreali. Invece è andata bene. E forse bisognerebbe trarne delle conclusioni.
Un’edizione (si può dire?) godibile: comoda, tranquilla, puntuale come non era da anni. Senza calche, contrattempi, nè troppi infiltrati, nonostante i temuti “tappi” generati dalle inevitabili precauzioni anticovid, come i tamponi pressochè quotidiani e il servizio “touchless” dei sommelier: meno inviti, meno gente, meno posti, meno glamour.
Naturalmente è un punto di vista mio, un po’ egoista. Che probabilmente non è quello a cui legittimamente aspiravano i Consorzi organizzatori e la Regione Toscana. Per non parlare dei produttori, a cui è stato inibito il contatto fisico coi giornalisti, ma su cui invece si dovrebbe riflettere.
Perchè un modello sobrio, meno caotico, meno dispendioso, meno inutilmente mondano di anteprime (parlo di quelle per la stampa, dove si viene ad assaggiare i vini, sia chiaro) è possibile. In sè e in prospettiva dell’eventuale diaspora che già si profila all’orizzonte, con gli “sganci” delle realtà di Montalcino e di altri, e l’ipotesi quindi di eventi non più concentrati in un solo periodo dell’anno e concatenati tra loro da un’organizzazione comune, ma indipendenti. Con il lievitamento dei costi che ne consegue e la necessità di ottimizzarli in termini di numeri, di inviti, di benefit.
Perchè, diciamolo, se la presenza dei giornalisti è stata quest’anno nettamente inferiore al passato, le ragioni sono state varie e variamente intersecate tra loro: lo spauracchio generale di una pandemia che ha tenuto lontana parecchia gente (soprattutto stranieri), la mancanza di un sistema organizzato e prepagato di trasporti collettivi, la necessità di avere adesioni sicure per organizzare la logistica e, di conseguenza, una selezione naturale di inviti e di invitati. Un punto, quest’ultimo, delicato e su cui mi sono già espresso qui.
Comunque, ecco com’è andata.
“Primanteprima” (cui hanno aderito Bianco di Pitigliano e Sovana, Candia dei Colli Apuani, Carmignano, Chianti Rufina, Colline Lucchesi, Cortona, Maremma Toscana, Montecucco, Orcia, Terre di Pisa, Val di Cornia e Suvereto, Valdarno di Sopra). Era una sorta sorta di prova generale, visto che apriva la settimana. C’erano molti patemi ma pure molta curiosità. Stampa non molta, in verità, ma grandi spazi nella Fortezza da Basso, di conseguenza ottimo servizio e assaggi tranquilli. Organizzazione spartana ma efficiente.
“Chianti Lovers”, il giorno dopo, sempre in Fortezza, ha riunito i vini del Consorzio vino Chianti e del Consorzio del vino Morellino di Scansano. Gran mole di vini in degustazione (il che costringe a fare delle scelte, ma non è colpa di nessuno) negli stessi spazi del giorno prima. Organizzazione efficiente, servizio eccellente, atmosfera rilassata.
“Benvenuto Brunello”: non ho partecipato.
“Anteprima Nobile” del Consorzio del vino Nobile di Montepulciano: complice una quantità di vini più gestibile, sono state superate brillantemente le pastoie anticovid e le difficoltà di disporre gli ospiti in varie sale della fortezza. Sommelier impeccabili e nota di merito per il pranzo servito individualmente ad ogni postazione. C’è stato anche il tempo per presentare il progetto della nuova tipologia di Vino Nobile, la menzione “Pieve”, che terminato l’iter di approvazione del disciplinare potrà entrare in commercio dal 2024.
“Anteprima della Vernaccia di San Gimignano”: l’unica denominazione bianca delle grandi docg toscane se l’è cavata ottimamente, grazie all’effetto bomboniera della location e a un’ospitalità di alto livello. Le degustazioni al Museo De Grada, senza affollamento, hanno potuto svolgersi in totale tranquillità. Bene, anzi perfino meglio del solito, il tradizionale appuntamento di “degustazione parallela” in Sala Dante. Il tema di quest’anno, “Vernaccia in Commedia. Sei profili d’autore del vino simbolo di San Gimignano, sei speciali accompagnatori di spiazzanti affinità elettive: sei grandi coppie del Vino Bianco Europeo, per un nuovo umanesimo”, pensato per celebrare il settecentenario dantesco, pareva un po’ tirato per i capelli. I conduttori Antonio Boco e Paolo De Cristofaro l’hanno invece trasformato in un appuntamento misurato e piacevolissimo.
“Chianti Classico Collection”, che per l’occasione è diventata anche “Connection” (New York, Chicago, Londra, Monaco e Tokyo collegate virtualmente tramite un catalogo online e una piazza virtuale per incontrare i produttori) è stato il gran finale. In tutti i sensi. Spettacolare la location (il chiostro della basilica di Santa Maria Novella, coi giornalisti a fare dejuneur sur l’erbe durante la pausa pranzo), la presentazione della Chianti Classico Card e della Carta Geoviticola della denominazione creata da Alessandro Masnaghetti, la consegna del Premio Gambelli 2021 e oltre 450 vini in assaggio, affidati per il servizio a una nuova app che mi ha (lo ammetto) creato qualche difficoltà tecnica, ma costituisce anche uno strumento formidabile di approfondimento (ad esempio consente di filtrare le scelte secondo il vitigno utilizzato). Chapeau.
E adesso che succede?
Per parlarne è ancora presto. O forse no, visto che a Montalcino già si lavora per novembre.