Sountrack: “Islands” qui
Esce (con un anno di anticipo) la “special edition” per il quarantennale dello storico album pubblicato nel dicembre del 1971. Novanta minuti di musica contro i quarantuno originali tra prove, alternate takes, rimissaggi. Il tutto aggiunge qualcosa alla controversa bellezza dell’originale? Certamente no, anche se contribuisce ad alimentare il mito del gruppo (e i consumi dei nostalgici). La riedizione rimane un utile strumento per i critici, ma a chi deve “studiare” la prima versione basta ed avanza a cogliere la straordinaria ecletticità creativa di Robert Fripp e (occasionali) compagni.

Potrà suonare strano per i sostenitori del gruppo, ma a studiare la fortuna critica di “Islands”, quarto album dei King Crimson (pubblicato nel dicembre del 1971 e ora rieditato in una versione rimissata ed estesa, con prove, versioni alternative, bonus tracks che in pratica ne raddoppiano la durata), si possono avere delle sorprese. Ad esempio si scoprono giudizi aspri e accuse talvolta sferzanti, che descrivono un’opera riappecettata, una sorta di patchwork un po’ svogliato messo insieme da Robert Fripp con musicisti quasi casuali e lacerti di vecchi brani riadattati. E non mi riferisco a certe leggendarie (e dileggiate) “carenze ritmiche” denunciate per fortuna molti anni fa da chi, forse accecato dal pregiudizio, voleva parlare di dischi senza capirli nè conoscerli. Parlo invece di autentiche e non isolate aporie recensorie, al cospetto di una tradizione che invece ha sempre elevato quel vinile tra i titoli più riusciti del gruppo inglese, sebbene incastonato nella consueta discontinuità di una produzione enigmatica, contraddittoria, imprevedibile, ondivaga. Esattamente come l’indole del suo leader e chitarrista.
Che dire?
Riascoltato oggi, con tutto l’amore di allora e tutto il possibile distacco dettato dal tempo trascorso, “Islands” rimane un solco di fulgente e cangiante bellezza. Composito e sorprendente nel suo furibondo rigore compositivo, così come nella sua grandiosa perfezione esecutiva (e chi se ne frega se, tecnicamente, l’incisione non fu un granchè), dopo quantant’anni il disco si rivela, forse meglio di prima, l’ennesima bussola interpretativa del vulcanico estro frippiano. Un estro tanto capriccioso e dittatoriale nei metodi, quanto scintillante per lucidità di fini e di risultati.
Nell’album, malinconicamente orbato negli anni di alcuni fondamentali protagonisti (il batterista Ian Wallace, il bassista Boz Burrell e la soprano Paulina Lucas, tutti scomparsi tra il 2006 e il 2010), trovano spazio, nel consueto equilibrio di grande respiro, tutti gli elementi del crimsonismo: gli echi contemporanei, le influenze del free jazz britannico, una concezione architettonica della composizione, un uso degli strumenti trasversale rispetto a “dettato” del rock e, al tempo stesso, un approccio generale ai suoni e al tessuto comunque e consapevolmente rock oriented. Il tutto condito di gustose ed esplicite citazioni, come le armonie beatlesiane che inframmezzano le dissonanze lacerate di “Ladies of the Road”.
Nato, come forse tutti gli album della band, nel segno non solo della discontinuità con il passato, ma perfino con il futuro, il disco sembra trovare nella sua natura quasi conglomerata una conferma della propria paternità e si colloca, in una controversa crimsografia, come l’ennesimo, appena un po’ più appartato atollo dell’arcipelago cremisi.
Ne sono testimonianza l’emozionante raffinatezza espressionista di “The Letters”, che ancora tradisce retaggi lizardiani, o la ventosa e visionaria delicatezza della title track, capace di snodarsi senza cadere nella trappola della retorica. E ancora la fuga elettrica e tribale di “Sailor’s Tale”, un brano che solo oggi, otto lustri più tardi, è libero di adempiere in pieno alla sua funzione di manifesto programmatico della sincretica visione musicale frippiana, quella visione poi sviluppata coerentemente nell’opera del musicista di Wimborne Minster nel corso della sua carriera.
Viene da chiedersi – ma la risposta è implicita – se sia stata di Fripp anche la scelta della grafica di copertina, quella nuda Nebulosa Trifida del Sagittario che sembra messa a simboleggiare il senso di una musica al tempo stesso, e confusamente, solida, liquida e gassosa.
Su tutto questo si collocano le bonus tracks che arricchiscono la riedizione e nelle quali, volutamente, non mi addentro. Un po’ per la noia di dover scandagliare scarti utili forse solo agli iperspecialisti e agli esegeti, un po’ per l’insofferenza verso queste operazioni che, dietro la facciata degli “archivi riaperti” nascondono solo pietose operazioni commerciali basate sul ricatto della nostalgia.
Ecco comunque, per i curiosi, il dettaglio del “40° Anniversary Islands Album”:

Disc 1
1. Formentera Lady
2. Sailor s Tale
3. The Letters
4. Ladies of the Road
5. Prelude: Song of the Gulls
6. Islands
7. Islands (Studio Run Through -Bonus Track)
8. Formentera Lady (Take 2 – Bonus Track)
9. Sailor’s Tale (Bonus Alternate Mix/Edit)
10. A Peacemaking Stint Unrolls (Bonus Track)
11. The Letters (Bonus Rehearsal/Outtake)
12. Ladies of the Road (Bonus Remix)

Disc 2
1. Islands Album DVD-A Lossless Surround Sound, DTS 5.1 Surround Sound
2. Islands Album original mix – High Resolution Stereo
3. Islands Album new mix High Resolution Stereo
4. Almost 90 minutes of bonus material mostly unreleased including a full Alternate Album , rehearsal takes, live material, studio sessions & material mixed for the first time for this release.