Sebbene non lo stimi affatto come premier, il Giuseppi nazionale non mi è antipatico.

Arrivo a dire che in certi momenti ho provato perfino una minima solidarietà, mettendomi nei suoi panni nell’affrontare quest’emergenza certamente imprevista e palesemente molto più grande di lui.

Ma spesso è disarmante. Anzi, lo è sempre di più.

A parte l’oratoria zoppicante e sudaticcia nella quale si ostina, forse alla vana ricerca di apparire che qualche sconsiderato consigliere gli ha strategicamente suggerito, sono proprio i suoi argomenti ad essere, soprattutto quando è sotto pressione, a capocchia.

Ieri, schiacciato tra l’inaugurazione del ponte di Genova, la visita alle zone più infette del Nord e gli annunci sulla Fase 2 ha inanellato ad esempio un paio di topiche memorabili.

A Bergamo, a una giornalista che lo incalzava sulle misure antivirus, il non eletto Giuseppe Conte ha replicato che “quando sarà eletta i decreti li potrà scrivere lei“, roba da pazzi per autolesionismo. Poco dopo, a Lodi, ha chiesto alle banche “un atto d’amore: diano liquidità alle imprese“. Le banche? Non lo stato attraverso i provvedimenti del (suo) governo, ma le banche? Cioè in prestito?

Per favore togliete il microfono a Giuseppi e il fiasco a chi ce l’ha messo.