L’ente pensionistico soffre la crisi e vede nero. Così si propone anche come intermediario tra gli assistiti e i fondi Ue da poco resi accessibili ai liberi professionisti, ora assimilati alle microimprese. Non è la soluzione, ma è meglio di nulla.
Lungi da me l’idea di addentrarmi nelle questioni inpgistiche, delle quali capisco poco, e in quelle politiche relative alla gestione dell’istituto, dalle quali rifuggo per default.
Ho però seguito con un certo interesse il convegno che l’ente previdenziale dei giornalisti ha organizzato giorni fa a Firenze, intitolato “Non c’è previdenza senza lavoro“. Sul tappeto, le prospettive di un nuovo welfare professionale tra “protezione sociale, microcredito e formazione”.
Slogan a parte, le sorprese sono state due. Strettamente connesse tra loro.
La prima è l’inusuale affollamento, costituito non dai soliti pensionati o pensionandi bensì anche da giornalisti nel fiore, diciamo così, degli anni e attivi nel ramo del lavoro autonomo.
La seconda è il nuovo volto che nella circostanza l’Inpgi ha voluto mostrare di sè.
Non solo, cioè, quello di utile, indispensabile, perfino oculato gestore dei nostri accantonamenti (e, lo dico per inciso, se molti o quasi tutti di quelli iscritti alla “gestione separata”, cioè l’Inpgi2, non prenderanno una pensione degna di questo nome, la colpa non potrà essere ascritta all’Istituto). Bensì anche quello di una sorta di erogatore di servizi al giornalista.
Cosa che, magari, rientrava già tra le sue teoriche funzioni, ma che fino ad adesso non si era intravista. Almeno nei modi emersi durante l’assise fiorentina.
Una buona parte della quale è stata infatti dedicata ai liberi professionisti (pareggiando così l’assordante silenzio riservato all’argomento dal pur presente segretario dell’Fnsi, Franco Siddi: vedi qui), alla devastante crisi che attraversa questo settore e alle opportunità che le nuove norme comunitarie aprono a costoro, oggi finalmente parificati dall’Ue alla figura della microimpresa in quanto soggetti che si accollano in proprio i rischi legati all’attività svolta. Un passo avanti decisivo per i freelance, visto che l’Europa non dà riconoscimento formale agli ordini professionali.
Tradotto in soldoni: la Comunità stanzia per le pmi 100 milioni di euro, fondi ai quali, ora, anche i giornalisti potranno dunque accedere attraverso bandi regionali o comunitari.
Che c’entra l’Inpgi?
C’entra: per agevolare l’accesso dei potenziali beneficiari alle provvidenze di Bruxelles, è previsto che siano istituiti e finanziati dalla stessa Ue dei “punti di contatto“, cioè degli organismi destinati a fungere da intemediari tra il cittadino e la Comunità erogante, dando assistenza per la compilazione delle domande, l’individuazione dei regolamenti più idonei, l’accesso ai risultati, etc. “Ho proposto che tale funzione possa essere assolta anche dall’OdG, dai sindacati e anche da noi“, ha detto il presidente dell’Istituto, Andrea Camporese, “e ho proposto anche l’istituzione di un Erasmus per i giovani liberi professionisti nonchè l’incentivazione per gli studi professionali“, visto che sempre più spesso l’aggregazione diventa una necessità economicamente stringente per chi lavora in proprio.
Visto che solo in Italia i liberi professionisti sono circa 3 milioni e generano il 15% del pil, è cosa negativa che un ente che raccoglie 57mila iscritti come l’Inpgi (32mila nella gestione principale e 25mila in quella separata) tenti di entrare nel settore dell’intermediazione?
Chiamatemi pure corporativo, ma a me pare di no.
Certo, la strada è lunga e il realismo è d’obbligo.
Il quadro che Fabio Soffientini, responsabile del servizio studi dell’Inpgi, ha fatto dei fondi e delle agevolazioni oggi concretamente accessibili non è stato – per entità delle somme, benefici concreti e iter burocratici richiesti – esattamente incoraggiante, ma è la logica che mi è parsa azzeccata: anche mettendo da parte i famelici appetiti statali sulle casse di previdenza private, tra cui la nostra, è evidente che l’introito contributivo dell’ente è destinato a calare, in parallelo con il calo dei redditi e dell’occupazione fissa nel settore giornalistico.
Che dunque ci si preoccupi di diversificare le fonti di gettito e di dare agli assistiti anche altre forme di assistenza mi pare saggio.
Speriamo anche, mi si consenta di dirlo, che l’allineamento comunitario tra microimpresa e libero professionista schiarisca definitivamente le idee in chi ancora (in buona fede o meno, giudicate voi) fa confusione tra i freelance in senso proprio (partita iva, odg, inpgi, multicommittenza) e chi si autoqualifica con tale appellativo non trovandone di altri più acconci.
Hai visto mai che l’Ue ci costringa a bandire di nuovo il censimento dei giornalisti freelance di un anno fa (qui)?