Alla vigilia dell’anteprima dell’annata 2007 del celebre rosso (in programma il 29 prossimo), la casa vinicola veronese è scesa in Toscana per una doppia degustazione verticale di Amarone: il Classico e il cru Capitel Monte Olmi. L’ideale per entrare in un Valpolicella state of mind.

Tornare sul luogo del delitto è sempre piacevole. Andarci prima che il delitto sia compiuto, sapendo già che ce ne sarà uno, lo è anche di più.
E visto che siamo in clima di Amarone (le anteprime dell’annata 2007 si celebreranno a Verona a fine mese), è stato con doppio piacere che ho partecipato giorni fa alla verticale che Tedeschi – storica casa vinicola attestata in Valpolicella dal 1630, “ma non di estrazione aristocratica”, come tengono a precisare i titolari Sabrina, Antonietta e Riccardo – ha organizzato a Firenze, nello storico (e da poco rinato grazie a una nuova gestione: in bocca al lupo!) ristorante Sabatini.
Di scena sei annate (1995, 1998, 2001, 2004, 2005, 2006) del cru Capitel Monte Olmi e quattro (1997, 1998, 2001 e 2006) dell’Amarone classico dell’azienda di Pedemonte, a San Pietro in Cariano. Quanto basta, appunto, per entrare in un Verona state of mind.
Due, in un’ottica generale, le cose saltate agli occhi, e soprattutto al palato, nel corso di una degustazione che ha confermato, almeno dal mio punto di vista, la consolante vocazione “tradizionale” dei produttori veronesi.
Da un lato la netta differenza che intercorre tra l’Amarone classico e il cru, dove il primo appare improntato a una sobrietà e a una piacevole godibilità non sempre usuali nell’Amarone “moderno”, mentre il secondo risulta più chiaramente orientato a uno stile – superiori virtù intrinseche del vino a parte – a un gusto, un mercato e uno stile che banalmente, ma per chiarezza, definirei appariscente: muscoli, ricchezza, colore.
Dall’altro lato all’assaggio dei campioni è apparso evidente anche un certo cambio di passo e di approccio avvenuto (soprattutto per il Capitel Monte Olmi) tra il vecchio e il nuovo millennio.

Passando al dettaglio, tra i “base” la nostra preferenza è andata all’Amarone 1998, caratterizzato da un bel colore rubino caldo e naturale, da un naso di gradevole asciuttezza e sobrietà, molto fine ed elegante, con note di sambuco, dolciumi in barattolo e un accenno balsamico, mentre in bocca è ampio, molto composto, gentile eppure ben strutturato, con ritorni di frutti selvatici, morbido ma non stucchevole. Meno convincente, anche se non spiacevole, il 1997, caratterizzata sia in bocca che al naso da una dominante vegetale (di verde e di “raspo”) che secondo Roberto Tedeschi deriva dalle caratteristiche peculiari dell’annata. Vino per il resto di buon corpo, lungo e sciolto. Molto più intenso, già nei colori, il 2001, che anche al naso giunge nettamente più carico, dolce, concentrato, con aromi di liquirizia e marmellata. Sentori che si replicano con potenza in bocca, dove la dolcezza e una prontezza a tratti invadente la fanno da padrone, prima di lasciare spazio alle note vegetali e a un accenno di amaro in chiusura. Ancora tutto in divenire l’Amarone 2006, già godibile certo ma immaturo, con la sua vivace liquirizia e gli echi di cuoio grasso al naso, mentre in bocca la piacevole dolcezza e l’evidenza alcolica ne confermano la precocità.

Più screziato il quadro delle sei annate del cru Capitel Monte Olmi, vigneto terrazzato di 2,5 ettari in località Pedemonte, di proprietà della famiglia fin dal 1918.
La palma del mio vino preferito va ancora una volta all’annata 1998, per le tonalità calde e misurate del colore, le note balsamiche emergenti da un naso elegantissimo, ricco di sfumature (dal cuoio al tabacco, dall’erba fresca al frutto rosso) ma sempre lineare e sobrio, sontuoso eppure mai faticoso. Di grande spessore però anche il severo 1995, a partire dal bel rubino quasi chiaro del colore, per continuare al naso con i sentori di cuoio in vario gradiente e in bocca con una complessità molto asciutta, invitante.
Interessante, ma forse non ancora maturo lo scurissimo 2001, che anche all’olfatto dà una sensazione di concentrazione e di potenza inespressa, mentre in bocca sorprende per ampiezza, muscolarità, intensità dei toni.
Impressioni analoghe, ma più marcate, per l’annata 2004, che appare un vino decisamente promettente ma immaturo, con un naso assai gentile, appena astringente, molto alcolico e con una bocca marcatamente dolce e avvolgente in entrata, che si evolve poi in uno spiccato gusto di ciliegie mature e sotto spirito, assai lungo, a tratti saturante.
Difficile capire infine se le annate 2005 e 2006 siano così somiglianti per una questione di stile generale o perché ambedue caratterizzate (al contrario delle altre) dal ricorso alle uve di Oseleta, la varietà locale di solito usata per dare al vino più colore e struttura. Entrambi i campioni appaiono estremamente giovani, di colore piuttosto intenso e con un naso molto concentrato da cui affiorano marmellata, caffè, cuoio e liquirizia. Sensazioni che si ritrovano anche nella muscolarità e nell’intensità al palato.