NORTH EAST INDIA CHRONICLE/1. In volo radente, via Bhutan, dalle acque limacciose del Brahmaputra a Gowahati (Assam) fino a quelle dei suoi remoti affluenti di Tawang (Arunachal P.). Tremila metri di dislivello. E un confine presidiato solo dai grandi felini.
Nei viaggi, come nella vita, ci vogliono anche i colpi di fortuna.
Ad esempio trasvolare un paese da sud a nord non strizzati, come gli altri, su un elicottero militare da 24 posti per tre quarti d’ora di “salto” quasi alla cieca, ma su un agilissimo chopper da 4. Beccare una bella giornata di sole splendente. E finire nel sedile accanto al finestrino, con la possibilità di sbirciare le cartine del piano di volo.
Il resto lo fanno quello che sapevi prima di partire, quello che vedi e quello che immagini.
Gowahati è la capitale economica e amministrativa dell’Assam. Una tipica città indiana: grande, calda, sporca e caotica. Dove il Brahmaputra ha una larghezza che lo rende simile a un lago, solo in impercettibile movimento. E dove l’acqua del grande fiume si insinua, capillare e inarrestabile, per decine di km nelle risaie e nei campi di the, i canali di irrigazione si confondono con gli affluenti degli affluenti, in una sorta di immenso acquitrinio verde a forma di reticolo.
Sulla pianura, la mattina presto, incombe una nuvola d’umidità che rende ogni cosa opaca o lucente, secondo la distanza dalla quale la osservi. Corvi che sbattono le ali creando vortici di vapore impalpabile e appiccicoso.
Decollo.
Presto le linee dritte di strade molto british oriented cominciano a fare a pugni con le anse ritorte dei corsi d’acqua. Sotto i tuoi piedi la disordinata periferia della metropoli si polverizza piano piano prima in soggorghi sbriciolati, poi in agglomerati isolati, assediati da campi di riso sempre più grandi inframmezzati da macchia e boschetti. Il tono del verde diventa cangiante, a tratti ipnotico.
E’ quello il punto, lì è la linea invisibile: “Qui sono le tigri“, dice il pilota puntando il dito verso la pianura. “E quelle sono le colline del Bhutan“, aggiunge facendo intendere che, oltre il confine tra Assam, cioè l’India, e il piccolo stato himalayano, il regno dei grandi felini prosegue nelle foreste fittissime, distese fino all’orizzonte e avvolte attorno alle alture.
Il verde si è fatto cupo, le pendenze dei monti quasi verticali.
Qui i boundaries sono una sorta di muraglia naturale, dietro alla quale si insinuano valli profondissime, fiumi veloci, villaggi e sentieri biancheggianti che, dall’alto, danno l’impressione di solchi appena incisi da un coltello impugnato da una mano gigantesca sui fianchi delle montagne. Ferite da cui cola il sangue fresco e giallo della pietra appena sbriciolata. Lavori in corso. Chissà per quanto.
I varchi stradali per entrare in Bhutan sono tre o quattro, ci dicono. Nessun presidio doganale, solo un passaggio. E nessuno – tranne le tigri – a vigilare sul resto della lunga linea della frontiera.
A Nord, abbacinanti nella luce radente del mattino, affiorano le vette innevate himalayane, mentre a onde le catene di colline si susseguono, sempre più alte, coperte di foresta impenetrabile. Qua e là si aprono rari terrazzamenti e insediamenti sparsi, minuscoli al punto che perfino l’ombra dell’elicottero rischia in parte di oscurarli.
Dopo un’ora e mezza di volo, il Bhutan è finito. Si è lasciato dietro una scia gentile e mistica. Mi torna di colpo in mente, come il bonus di un flipper, l’idea della Felicità Interna Lorda propugnata dal sovrano bhutanese.
Ma è un attimo. Le pale girano e sotto è di nuovo India, stato dell’Arunachal Pradesh. Dieci km più in là ed è già Cina. Cioè Tibet. Ci sono reticolati e soldati che si guardano in cagnesco.
Tawang è una piccola comunità trovatasi nel punto in cui, come placche tettoniche, si incontrano e si scontrano etnie tribali, storia tibetana e pretese geopolitiche.
Biancheggiante e lieve, appoggiato come una teiera di porcellana su un mobile malfermo, galleggia il grande monastero. Dentro e attorno, brulicano centinaia di monaci. Più attorno ancora li vegliano le scimmie della collina, ammaestrate e aggressive. Attorno alla collina vigila il cordone simbiotico dell’esercito indiano.
Attorno all’esercito, resta solo il presidio silenzioso delle tigri-doganiere (continua).