L’omologazione tra informazione professionale e non ha condotto anche a quella tra categorie e relativi comportamenti: giornalisti e -er agiscono, e non a caso vengono percepiti, allo stesso modo. Insomma è finita pure l’era del todos caballeros.
La legge della natura insegna che, in assenza di barriere, tutto, col tempo e la propagazione, tende a mescolarsi, ibridarsi, meticciarsi. Un fenomeno lento ma inesorabile, che passo dopo passo conduce categorie una volta lontanissime o aliene tra loro ad avvicinarsi progressivamente, fino a fondersi o quasi. O ad assumere connotati esteriori non più distinguibili ad occhio nudo, se non a quello di specialisti di nessun peso sociale.
Anche con le “notizie” succede ormai la stessa cosa: non le si distingue più in base alla loro natura intrinseca, cioè in base alla fonte da cui provengono (cioè chi le scrive, verifica, vaglia, pubblica) o alla verità del loro contenuto, ma a ciò che esteriormente sembrano, essendosi appunto le fonti ibridate nel calderone del cosiddetto web.
La stessa sorte tocca così (causa o effetto?) pure a chi quelle notizie le produce e le mette in circolazione. La gente comune fa infatti sempre più fatica a distinguere i giornalisti, a cui spetterebbe il compito professionale di produrre informazione (ovverosia notizie verificate), dai tanti -er che vagolano nell’aere e che a vario scopo diffondono “news”.
Ma se questo è risaputo, la realtà è andata già oltre.
Ed è qui il punto interessante: almeno sul piano estrinseco, pure le differenze attitudinali e comportamentali tra giornalisti e -er si sono infatti così assottigliate da scomparire o quasi e diventare in larga misura esteriormente impercettibili.
Lo dimostra non tanto il fatto che le due categorie siano approcciate, trattate, considerate, percepite dal mondo esterno in modo oramai simile se non identico, ma che, nella sostanza, i loro rappresentanti tendano a comportarsi e addirittura a operare in modo pressochè uguale.
Ciò è il frutto del reciproco moto di avvicinamento e omologazione di cui parlavamo sopra: a un giornalismo che, sempre più a corto di soldi e di compensi, perde rigore professionale e tende ad attaccarsi alle bricole per campare, corrisponde un bloggismo che, uscito da tempo dalla fase ludica, comincia ad assumere i connotati di una parziale professionalità, premessa indispensabile della redditività. Il punto di incontro e di sintesi tra le due classi è diventata la ricerca di un lucro a breve termine da microcompenso, da piccole consulenze, da pagamenti in natura, da corrispettivi edonistici, da compromessi deontologici.
E il mondo circostante, che dell’informazione o presunta tale ha commercialmente bisogno e ad esso si abbevera, ci sguazza, perchè la confusione di ruoli gli va benissimo. Anzi, gli è proprio funzionale.
Così, cari colleghi, prendiamo atto che un altro giro di corda di è stretto attorno al collo del giornalismo: finita anche l’era del todos caballeros, presto tutti dovremo scegliere se diventare bloggisti o rimanere giornagger.