Arriva un momento in cui una forma di espressione “veloce” come la musica, se non storicizzata, trascolora da arte in commerciabile nostalgia. E’ umano. Per farla restare arte bisognerebbe forse cominciare a rappresentarla in altro modo.
Soundtrack: “So you want to be a r’n’r star“, Byrds (1), Patti Smith Group (2). Tom Petty & Heartbeakers (3)
“Mojo” è un bel mensile musicale inglese, a cui sono abbonato.
Piuttosto mainstream, ma fatto benissimo. Con una cura editoriale, anche nei dettagli, ed una competenza intrinseca che, dalle nostre parti, ci si sognano. Impaginazione brillante, rubriche meticolose, illustrazioni magnifiche e spesso inedite.
Da tempo, però, l’arrivo di ogni nuovo fascicolo per me è un piccolo dramma. Fin dalla copertina. Perchè mi mette di fronte all’ineluttabile trascorrere del tempo e alla generalizzata, ridicola pretesa di fermarlo. Cosa che, se sei in un rock and roll mood, suona più stridente del normale.
E’ una pretesa umanissima, intendiamoci, su cui un’umanissima industria campa, e che fa girare il mondo.
Ma prendiamo in mano il giornale, lasciando perdere le strette questioni critiche.
Cover dedicata ai quasi sessantenni e ormai inutilissimi guerrieri U2. Richiamo in alto, con foto del 1965, agli Who (fondati ai primi anni ’60) e a un’intervista (toccante, va detto) al settantacinquenne ex batterista dei Cream, Ginger Baker. Seguono, sempre in copertina, strilli su Wayne Coyne dei Flaming Lips (classe 1961), sulla scomparsa di Jack Bruce (1943-2014), John Contrane (1926-1967), l’incontro tra Anthrax e Public Enemy (1991), Buzzcocks (gruppo punk nato nel 1976), il chitarrista degli Smiths Johnny Marr (classe 1963). Chiude il sommario con 8 dei 50 migliori dischi del 2014 secondo “Mojo”: tra gli 8 noto i nomi di Kate Bush (nata nel 1958), Dave Grohl (nato nel 1969), Jack White (nato nel 1975), Paul Weller (nato nel 1958), Robert Wyatt (nato nel 1945) e Beck (nato nel 1970). Insomma il più giovane sulla prima pagina di “Mojo” di gennaio 2015 è il quarantunenne White.
La linea editoriale del giornale, bisogna chiarirlo, non è strettamente nostalgica. C’è grande attenzione alle novità e all’attualità.
Ma è chiaro che il suo core business è rappresentato dai lettori 40/70enni. Quelli cresciuti con il primo quarto di secolo del rock and roll.
Ora, la domanda non è se esista (esiste certamente ed è abbondante, web e new media inclusi) anche una stampa musicale per le generazioni musicalmente “contemporanee“, ma quale sia la funzione di (e della musica trattata da) quella di cui stiamo parlando.
Pensare ad una chiave banalmente “vintage” non è molto rassicurante. Anzi, è devastante. Ma il dubbio viene. Viene il sospetto che ami certa musica perchè è la “tua” e non, perchè, ancora oggi vale davvero sotto il profilo artistico.
Certo, non è in sè l’età del musicista che condiziona la creazione di buona musica. Ma casomai la maturità e la sensibilità di chi la produce e di chi la ascolta.
E i ricordi, incluso quello dei sentimenti, fanno parte della vita.
Forse però, allora, arriva un momento in cui essi vanno rappresentati in altro modo.
Del resto, l’ha detto pure l’ormai saggia Grace Slick: “Dopo i cinquanta, è bene vestirsi da signora e non da r’n’r star” (o qualcosa di simile).
So you want(ed) to be a r’n’r star…