Su “Articolo 21” Vittorio Emiliani interviene prendendo le parti dei giornalisti. Ma lo fa parlandone come  “dipendenti”. E tradendo così, pure lui, quella visione obsoleta della professione che è alla radice di tutti i nostri mali. Abbagli del premier compresi.

Stavolta Arlecchino non si è confidato burlando.
Primo, perchè Vittorio Emiliani non è certamente un Arlecchino, ma un prestigioso collega e anche altro.
Secondo perchè, scrivendo quanto ha scritto qui a proposito dell’ormai celebre scontro Renzi-Iacopino (qui) sull’OdG e i giornalisti “schiavi”, non stava celiando affatto.
Ma la sua confessione, pur inconsapevole, c’è tutta.
E dimostra quanto una buona metà del mondo (non giornalistico e, quel che è peggio, pure giornalistico) sia fuori dalla sostanza della questione. Facendo quindi fatica a comprenderla nella sua portata reale.
Scrive Emiliani: “Non sono mai stato un sostenitore dell’Ordine dei Giornalisti. Mi sembrava una ambizione sbagliata per dei lavoratori soprattutto dipendenti come noialtri” e poi prosegue con altri argomenti più o meno condivisibili.
Ma ci si può tranquillamente fermare a questo punto perchè è qui che casca l’asino: “lavoratori soprattutto dipendenti“.
Dipendenti?
Non ho le carte sotto mano, nè ho voglia di andare a cercarle. So però che su 110mila giornalisti iscritti all’albo i contrattualizzati saranno al massimo 15mila. Un ottavo, più o meno. Un ottavo del totale e comunque meno di un terzo dei 50mila circa che in ogni caso i giornalisti lo fanno per davvero o quasi, insomma di quelli che hanno una posizione Inpgi e un reddito quantitativamente percepibile (il che non vuol dire economicamente serio).
Ora, voi capite: se nemmeno un giornalista, nonchè politico e uomo navigato di lungo corso come Vittorio Emiliani, sa o si rende conto che da almeno vent’anni il numero dei colleghi assunti è stato soverchiato da quello degli “autonomi“, oggi a sua volta soverchiato dai dilettanti, come volete che lo sappiano le copiose cariatidi dell’Ordine e del sindacato (hahaha…) responsabili del nostro luminoso e progressivo futuro, nonchè Renzi, la politica, l’opinione pubblica?
Ed ecco quindi che il dibattito sul battibecco tra il premier e Iacopino esce ben presto dal corretto seminato, quello economico-contrattuale, e deraglia – essendo in tanti ad avere l’interesse a farlo deragliare – sul terreno generalista dell’ideologia, delle questioni di principio, dell’ordine-sì-ordine-no, dei “retaggi medievali” quando non “fascisti” e di tutte le altre insopportabili sciocchezze che si sentono dire in questi giorni sulla nostra pelle di giornalisti.
Categoria che, come ben sa chi mi legge, io non blandisco affatto. Anzi.
Ma di cui pretendo che tutti, la gente comune e a maggior ragione i colleghi, parlino con cognizione di causa.