di URANO CUPISTI
“Conoscere l’Antartide è come viaggiare attraverso un mondo così estraneo a quello in cui viviamo che ci dà l’impressione di aver cambiato Pianeta o di aver messo piede nell’Era Glaciale della preistoria del mondo
” (Hernan Pujato, esploratore argentino).

 

Era arrivato il momento dell’incontro coi pinguini nel loro habitat. Quelli dalle dimensioni piccole, con le ali –  perché di uccelli trattasi – trasformate in pinne dopo milioni di anni di adattamento. Ne avremmo incontrate tre specie delle diciassette attualmente catalogate, in quell’assolato giovedì 13 gennaio: Ardelie, Macarone e Papua. Pinguini sotto il metro d’altezza, una quindicina di chili di peso. Uccelli acquatici carnivori. Si nutrono di gamberetti, pesci, piccoli crostacei.
La Polar Star svegliò tutti noi con un sibilo ripetuto tre volte, poco prima delle 6. Tutti ai posti di osservazione. Lentamente la nave entrava nel Canale Lemaire, lungo circa 8 miglia e largo mezzo miglio tra iceberg di medie dimensioni alla deriva estiva. Era giunto il momento di osservare da vicino questi giganti di ghiaccio, toccarli “senza paura”. Con gli Zodiac di bordo a zigzagare ed osservare le foche, i pinguini nelle acque relativamente sicure.
Nel pomeriggio la navigazione riprese nel Neuemayer Channel fino a raggiungere Port Lockroy, già avamposto inglese strategico durante la Seconda Guerra Mondiale, oggi base per gli avventurieri antartici e unica sede di un ufficio postale importante per le vicine basi internazionali di studio, con tanto di “annullo filatelico”.
Una gallese sulla cinquantina, ufficialmente dipendente con mansioni di “dirigente responsabile dell’ufficio postale britannico”, ci accolse cercando di venderci cartoline e ninnoli vari tipo “I love Antarctica” (ovviamente in dollari).
Tutt’intorno una colonia di pinguini, in maggioranza ardelie, abituati alla presenza dell’uomo. Alla fonda un british cutter, il Magic Dragon, diretto chissà dove.
Il pomeriggio e la prima sera passarono tra racconti e sorsi di whisky insieme alla gentile signora gallese, con i pinguini che tranquillamente scorazzavano nelle stanze dell’ufficio postale. “Non posso fermarli, depongono le loro uova in cucina, in camera sotto il letto, dappertutto “. Incredibile e fantastico.
Venerdì 14 gennaio: dopo la notte passata alla fonda a Port Lockroy (una notte breve, perché la Penisola Antartica si trova sopra il circolo antartico e lì d’estate le notti sono brevi), in una calma assoluta accompagnata dall’assordante silenzio, furono i pinguini a dare la sveglia. I loro schiamazzi a salutare l’alba del nuovo giorno.
Mare, ghiaccio e montagne innevate intorno a noi. Difficile immaginare così tante sfumature di bianco. Il rumore delle ancore che risalivano piano piano ci fece capire che era l’ora di partire. I pinguini di Port Lockroy si allontanavano diventando sempre più minuscoli. L’addio è sempre emozionante, coinvolgente anche per un viaggiatore incallito come me. Sapere che la Polar Star ci avrebbe condotto verso altre emozioni mi portò ad osservare avanti.
Navigazione in direzione ovest, nel Bismark Strait, a “caccia fotografica” di foche leopard. Bellissime osservarle mentre, oziando su piccoli “cubetti di ghiaccio”, si lasciavano portare alla deriva.
Avevamo raggiunto il punto più ad ovest della nostra avventura. Era ora di volgere la prua ad est, percorrere un tratto di mare già noto, salutare da lontano, con un fischio, la signora gallese e i suoi pinguini, per infilarsi nei canyon marini (fiordi) stretti, molto stretti anche per la Polar Star. Continui getti laterali d’acqua calda aiutavano la nave nel suo tortuoso percorso. La nostra tappa giornaliera: Neko Harbour e Danco Island.
Improvviso briefing convocato da Brian Parson, oceanografo e geologo di bordo, per prepararci a vivere uno spettacolo unico al mondo: le ventotto tipologie di ghiacciai. In realtà ne osservammo sei: promontori di ghiacciaio, valle, circo, sbocco, pemonte, grembiule. Nomi strani, tradotti dall’inglese-americano di Brian, nella speranza poi di trovare analogo riscontro in italiano.
Mentre eravamo assorti ad osservare questo spettacolo arrivò una tragica notizia. Fu il comandante Endresen in persona a comunicarlo: “Il proprietario del Magic Dragon, nonché viaggiatore dei mari, incrociato a Port Lockroy, è morto finendo in un crepaccio di uno dei ghiacciai della Neko Bay”. Vedemmo in lontananza gli elicotteri intorno allo yacht.
Signore e signori abbiamo molte balene in vista che ci seguono. Vanno nella nostra stessa direzione. Stiamo fermando i motori, per non disturbarle e per farci superare”. Era la voce del primo ufficiale proveniente dal ponte di comando. Per oltre un’ora guardammo megattere sia a destra che a sinistra sfilare sbuffando. Poi iniziammo nuovamente a navigare dietro loro nella stessa direzione. Più di cinquanta in tutto: uno spettacolo raro (così ci fu detto) e notevole. Tre balene, le ultime del “branco”, con un moto sincronizzato fecero la loro esibizione poco distante dalla prua. Poi le lasciammo andare. Era ora, per noi, cercare un riparo in un fiordo per la breve notte antartica.
Sabato 15 gennaio: i motori della Polar Star mi svegliarono. La temperatura esterna era intorno allo 0. Il profumo di caffè aveva inondato tutta la nave. Che bello gustarlo in una mug direttamente in plancia insieme agli uomini dell’equipaggio.
La sera prima durante l’ormai consueto briefing ci avevano dato per certo l’avvistamento di iceberg alla deriva. L’ansia dell’avvistamento non tardò a diventare realtà. E lo scricchiolio di queste grandiose formazioni di ghiaccio superò nel rumore quello costante delle “macchine della nave”. Una bellezza da togliere il fiato, natura straordinaria che stimolò tutti i sensi.
Improvvisamente un enorme iceberg, 35 mt di altezza, lungo circa 2 Km, una muraglia con la sommità piatta costrinse il Capitano a dirigere la nave verso nord, nel mare aperto per poi, una volta arrivati all’estremità dell’iceberg, ritornare a sud lungo la Palmer Coast per raggiungere Brown Bluff, un enorme promontorio di basalto vulcanico nero con una spiaggia ghiaiosa dove, una volta scesi a terra con gli Zodiac, trovammo una comunità di foche e leoni marini, spiaggiati intenti a dormire e una “pinguineria” rumorosa (calcolata dallo staff in circa 100.000 unità) intenta nella quotidiana lotta per la sopravvivenza. Scenario maestoso con la sua straordinaria fauna selvaggia.
Eravamo in ritardo sulla tabella di navigazione. Un fischio prolungato proveniente dalla Polar Star alla fonda nella baia ci richiamò a bordo. Non ci fu il tempo di salutare i maestosi “leoni”. Non ci fu tempo di condividere con i pinguini ardelia parte della loro vita quotidiana.
Direzione Nord verso le Shetland del Sud per raggiungere Hannah Point e Deception Island. Caldere navigabili, vulcani ancora attivi, resti spettrali di quella che fu l’industria dei balenieri.