C’erano una volta la gerarchia delle notizie e il privilegio dei giornalisti di stilarla, secondo i differenti punti di vista e sensibilità professionale. Oggi è quasi tutto uguale e le prime pagine somigliano a civette pubblicitarie.

S’i’ fosse foco arderei ‘l mondo, scriveva Cecco Angiolieri, mio celebre concittadino del quale – ammetto – condivido numerose pulsioni ustorie.
E per appiccare la fiamma userei la mazzetta dei giornali.
Se invece fossi direttore di uno di questi, anzichè lo mondo brucerei le imperversanti notizie inutili che ammorbano le prime pagine (e perciò pure quelle interne).
A cominciare dal collage cencelliano dei megafoni politici, altrimenti detto pastone da par condicio. Poi attizzerei quelle ritenute importanti solo per tacito conformismo, insomma quelle che pubblichi in alto perchè sai che lo faranno gli altri e perchè tutti già ne parlano. Se proprio non potessi evitare, darei spazio almeno a letture trasversali o non conformiste delle medesime.
Subito dopo relegherei in posizione acconcia le news curiose ma minori. Minori per peso specifico, intendo, e non per potenziale concupiscenza da parte dei lettori. Me compreso, ovvio. E bandirei il gossip.
Insomma: che fine ha fatto, nei giornali (d’ogni tipo, così metto le mani avanti su possibili accuse di antiweb preconcetto), la gerarchia delle notizie?
E’ una domanda che mi faccio da vent’anni ogni mattina, quando leggo i quotidiani.
Sono quasi sempre tutti uguali. Prevedibili.
Non per come riportano le news, ma per quali di esse riportano.
Le prime pagine on line poi, continuamente mutevoli, in tempo di infotainment sono diventate vere e proprie civette: avete presente i manifesti (peraltro spesso fonte di freddure involontarie, di cui la letteratura giornalistica è piena) che si mettono sotto griglia davanti all’edicola per far capire a colpo d’occhio quali sono i titoli e gli argomenti più clamorosi trattati quel giorno dalla testata, invogliando così i passanti ad acquistarla? Ecco, quelli: acchiappaclic. E’ la rete, bellezza? Sarà, ma non mi piace.
Eppure il potere di mettere in fila le notizie, di creare una graduatoria ideale d’importanza, di dare una lettura e quindi di attribuire un peso tutto proprio a ognuna delle migliaia di informazioni che ogni giorno piovono sulla nostra scrivania, decidendo quale, come, perchè e dove collocarle nel giornale sarebbe uno degli ultimi, reali privilegi dei giornalisti. Direttore in primis.
Pensate allo spazio che si libererebbe mandando nel cestino, in un colpo solo, le veline dei partiti, le dichiarazioni dei politici bilancino incluso, i gossip giudiziari più o meno strumentali ai dibattiti parlamentari in corso. Le intercettazioni pettegole, gli strilli su diete e stili di vita.
E al posto loro mettere le notizie serie e vere, quelle di cui non parla nessuno non perchè non abbiano rilevanza (nuove scoperte scientifiche, guerre dimenticate, casi-simbolo, inchieste sociali…), ma perchè prima bisogna mettere sempre le solite cose.
Un bel gradiente, all’antica: fondo di politica internazionale, titolo di apertura, forse spalla su questioni istituzionali, un paio di finestre di attualità politica a centro pagina, una fotonotizia o due, tagli bassi ma brillanti per cultura (salvo news clamorose da mettere più in alto), sport, costume.
Forse non sarebbe una prima pagina commercialmente molto “sexy“, ma professionalmente più seria. E capace, alla lunga, anche di dare al lettore un servizio d’informazione vero.
Qualcuno ora eccepirà che questo modello non è poi così diverso dalle front page correnti della principale stampa italiana.
Se vi pare sia così, fatevi una rassegna delle ultime settimane e riparliamone.
Nota a margine: della questione si occupò, sebbene da una prospettiva un po’ diversa, anche l’Inkiesta, un paio d’anni fa. Da allora, tutto mi pare peggiorato o, al massimo, rimasto lo stesso. Segno che i giornalisti contano, pesano e sono sempre di meno. Oppure che non sanno fare i giornalisti. Oppure tutte e due le cose.
Quindi, s’i’ fosse foco, dovrei bruciare pure i colleghi e io con loro?