No, non uno strumento per stabilire “chi è più giornalista” di un altro, ma per raccogliere i dati necessari a capire se qualcuno, oltre a “esserlo” (di tessera), il giornalista lo fa davvero. In attesa delle elezioni, della revisione dell’albo e della riforma dell’Ordine.

 

Leggo sul notiziario dell’OdG della Toscana che, sui 5.500 giornalisti dell’albo regionale, ben 3.000, e quindi il 60%, sono privi della pec, la casella di posta elettronica certificata che, dal 2009, qualunque iscritto a un ordine professionale ha l’obbligo di avere a prescindere da tutto: se è più o meno attivo, se fattura e quanto, se lavora o meno o come.
La pec è in pratica un’appendice dello status professionale.
Metto le mani avanti due volte.
Primo: con molta probabilità si tratta di un obbligo pensato per categorie diverse dalla nostra, che è un po’ anomala in quanto composta non solo da liberi professionisti (la maggior parte dei quali anzi sono tali obtorto collo), e quindi non del tutto necessario. Il che peraltro non toglie che obbligo sia.
Secondo: ha un costo (modesto) e agli italiani, giornalisti compresi, piace un sacco evadere certe gabelle ritenute vessatorie, tipo il canone Rai, le quote dell’OdG e appunto, in subordine, la pec.
La pec, a dire il vero, è anche uno strumento assai utile, perchè costituisce una sorta di raccomandata digitale: qualunque comunicazione inviata e ricevuta via pec ha valore legale, quindi il suo contenuto è dato per notificato e Dio solo sa quanto è comodo avere e ricevere corrispondenza “ufficiale” senza dover andare agli sportelli nè usare carta e penna. Naturalmente è anche un metodo inesorabile per “stanare” chi sfugge alle notifiche.
Ad esempio, nella citata nota (qui) l’OdG della Toscana lamenta che, a causa della renitenza dei giornalisti alla pec, “l’Ordine regionale sarà costretto a spendere quasi 7.000 euro in occasione delle prossime elezioni, per garantire l’invio per posta delle comunicazioni elettorali. Una cifra che avrebbe potuto essere impiegata per altre attività in favore di tutti gli iscritti“.
Potrei ora far partire un giustificato, ma noiosissimo pistolotto moralistico sullo scarso senso professionale dei colleghi renitenti o distratti, etc.
Non lo farò.
Ma allargo il campo della discussione.
Avete presente il famigerato “redditometro“, cioè quel diabolico strumento che, spesso a capocchia o in modo surreale, il fisco usa per accertare il reddito dei contribuenti? Ecco, la titolarità di una pec dovrebbe essere parte degli elementi costituenti un potenziale “giornalistometro” destinato a (se possibile non a capocchia o in modo surreale) accertare l’effettivo esercizio delle professione da parte degli iscritti all’Ordine dei Giornalisti.
Ricordo infatti che la qualifica di giornalista, una volta acquisita, non è che dura a vita ma è in teoria vincolata all’esercizio effettivo della professione. Non a caso, ex lege, sarebbe prevista allo scopo una revisione biennale dell’albo che, per motivi oscuri, o forse mica tanto, viene da anni disattesa. Se non lo fosse, tutti gli iscritti sarebbero infatti periodicamente tenuti a dimostrare che davvero fanno ancora i giornalisti, il che provocherebbe probabilmente una caduta verticale del numero dei tesserini in circolazione.
Ma torniamo al giornalistometro.
Lungi da me pensare che chi non ha la pec non faccia il giornalista: so perfettamente che non è così. So anche perfettamente che la mancanza di una partita iva, ancorchè obbligatoria, non è di per sè il sintomo di falso esercizio della libera professione o che lo scarso pubblicato, o fatturato, o incassato, o l’assenza di una posizione Inpgi, o il mancato pagamento delle quote ordinistiche non sono, da soli, sintomi di un’attività assente o simulata.
Se però esistesse per l’appunto un giornalistometro, cioè uno strumento che per ogni iscritto raccogliesse tutti insieme gli indici necessari a integrare la reale sussistenza della qualifica di giornalista, forse sarebbe meno difficile capire quanti siamo, quanti fanno finta di esserlo, quanti semplicemente hanno smesso e quanti dovrebbero smettere di simulare. E si finirebbe di spendere soldi a caso per notifiche inutili, burocrazie inutili, uffici inutili, numeri finti e statistiche conseguentemente finte.
Per non parlare di elezioni (memento: il 24 settembre si vota per l’Odg). Elezioni che, indette tra un numero sterminato di aventi diritto (i giornalisti italiani risultano circa 120mila), ma solo teorici in quanto solo teoricamente detentori del diritto al titolo professionale, risultano puntualmente attese con percentuali ridicole di affluenza e, quindi, sono anche facilmente orientabili da quelle correnti e capibastone i quali, ed eccoci al punto, sono la rovina della categoria. E che, è ovvio, al giornalistometro si opporrebbero in ogni modo.