Vivi in uno sperduto posto di campagna e una domenica come tante esci in cortile e trovi un tipo che ti piscia sulle rose, davanti al portone di casa tua. Tu che fai?

E’ accaduto pochi minuti fa e, lo ammetto, lì per lì tanto è stato lo stupore che non ho avuto la prontezza di spirito di immortalarlo col telefonino. Ma giuro che è tutto vero, anche se io stesso ci ho messo alcuni secondi a credere a quanto accadeva sotto i miei occhi.
Breve e necessaria premessa: vivo in campagna, molto isolato, in un posto dove si arriva solo con la macchina. Per raggiungere casa mia occorre superare una sbarra chiusa con rete e cartelli di “divieto d’accesso“, poi una lunga salita, poi un alto cancello (chiuso) e un’altra scalinata. Da qui si accede a un cortile e poi a un altro, dove si apre il mio portone. Il tutto in un contesto palesemente abitato. Insomma non è che da me si capita per caso, passeggiando. Fine della premessa.
Ebbene: una domenica mattina come tante, tipo oggi, verso le 9.
Bevo il caffè, faccio uscire il cane in giardino, dopo qualche minuto esco anch’io per dare da mangiare ai gatti. Li chiamo, mi guardo intorno e nella direzione dalla quale, di solito, arrivano correndo. Vengono alla spicciolata.
Sono in controluce, ma il mio occhio percepisce qualcosa. Sulle prime penso sia un ramo del leccio mosso dal vento. Attimo di esitazione e guardo meglio: mi sembra impossibile, ma c’è un uomo che, di profilo rispetto a me, fissa il muro del cortile di sotto. Sì, è proprio un uomo. Con giacca a vento e berretto. Strabuzzo gli occhi e mi avvicino. Quello non si muove. Mi avvicino ancora di più. Lui rimane immobile.
Arrivato a qualche metro, chiedo stupefatto: e lei chi è? Che sta facendo?
La risposta è nei fatti: mi sta pisciando sulle rose. Sotto le mie finestre, a pochi passi dal mio portone.
Lui, ancora con l’arnese in mano, si volta lentamente verso di me e mi dice: parli forte che sono un po’ sordo.
Momenti di puro sconcerto.
Sequenza dei miei pensieri nell’arco di otto decimi di secondo: è scemo-lo ammazzo-è un ladro-sto sognando-è un amico e non l’ho riconosciuto-mi prende per i fondelli-gli spezzo l’osso del collo.
Con tono niente affatto rassicurante gli domando: che cazzo fai qui, non vedi che è proprietà privata, che vuoi? Vergognati, sudicione!
Lui, rimettendo con calma a posto l‘artiglieria: ma c’è una cappella qui?
Una cappella (omissis sulla risposta che mi passa per la mente)?
Lo guardo meglio: è un tipo anzianotto, apparentemente un po’ rinco, ma mi accorgo che ci marcia. Sul muretto ha appoggiato una costosa macchina fotografica.
Con occhi iniettati di sangue gli sibilo: fuori di qui o ti rimando a casa a pedate.
Lui: da che parte devo andare?
E’ troppo: lo prendo per un braccio e lo spingo al cancello tra varie contumelie. Alle quali quello, pacato, replica: ma lei qui ci vive da solo?
Stringo la presa e allungo il passo, cercando di contenermi. In un angolo della mia mente resta il minuscolo dubbio che sia davvero solo un povero vecchio rimbambito. Ma un povero vecchio non può arrivare dove è arrivato lui e con una Canon Eos fiammante in mano.
Il dubbio si dissolve quando siamo sulla cima della salita che porta alla sbarra: subito oltre è parcheggiato un bel suv marrone tutto lustro, altro che Panda di un pensionato che ha perso la strada.
Fuori dalle palle, gli intimo.
Come se nulla fosse lui si gira, si incammina, risolleva la rete metallica che aveva disinvoltamente divelto per entrare, si ferma e mi guarda. Sguardo di sfida? Non direi (ero talmente incazzato che mi facevo paura da solo), era più un’occhiata di indifferenza.
Sale, mette in moto e se ne va.
Io rientro.
In cima alle scale, sotto i raggi del sole il muretto riluccica. Di piscio.