Ha chiuso – ironia della sorte, proprio alla vigilia del Record Store Day del 20 aprile – il più famoso e classico negozio di dischi del mondo, nel cuore del Village, nato nel 1967. Tutto cambia e forse non è un male. Ma io sto dalla parte di Bob.

Soundtrack: Rickie Lee Jones, “Skeletons“.

Quell’inconfondibile odore di polvere, plastica e cartone, con l’aggiunta di un vago sentore di muffa. Ma muffa “nobile“, come nel vino. Perchè sa di antico. Un odore che la stessa rassicurante, a volte tenera familiarità dell’aria di casa, delle lenzuola della nonna, della propria auto compagna di tante avventure.
Chi sa ha capito di cosa parlo: del negozio di dischi.
No, niente cd, nè megastore, nè altro.
Una stanza, al massimo due, piene zeppe dell’unico disco degno di essere chiamato tale: quello in vinile, dove la copertina fa parte dell’opera d’arte e dove la musica si tocca, si maneggia, si annusa.
Ecco, proprio alla vigilia del Record Store Day (20 aprile, qui) – la giornata che in tutto il mondo, in una miscela di deja vu e di nostalgia, di passato che non torna e di temperie irripetibili, celebra quei fenomenali luoghi di aggregazione, scambio di idee e di conoscenza che sono stati i negozi di dischi nel senso detto sopra – mi arriva la notizia della chiusura di uno dei più famosi pusher mondiali di vinile. Quello che tutti, guide turistiche comprese, consideravano un benchmark, un capostipite, un simbolo, un punto di riferimento: Bleecker’s Bob, forse il più famoso, classico, senza dubbio il più inimitabile dei negozi di dischi della città della musica per eccellenza, New York, 118 West 3rd Street.
Al suo posto, da giugno, ci sarà una yogurteria (così va di moda dire, anche se a me viene da vomitare).
Ci sono stato per l’ultima volta poco più di tre anni fa e nulla era cambiato. Non era un santuario come si potrebbe immaginare. Era solo un negozio. Con i suoi prezzi, le sue manie, politiche commerciali. Dove però erano passati, in quasi mezzo secolo, tutto e tutti. Ci ho comprato a due soldi una rarità, perchè avevano sbagliato il prezzo. Alla cassa non hanno fatto una piega: hanno battuto lo scontrino e mi hanno detto “Complimenti, hai fatto un grande affare“.
Bleeckers’s Bob era un’istituzione. C’era e basta.
La prima volta che ci misi piede, nel 1980, mi guardarono storto: ero troppo giovane e troppo “turista”. Non si fidavano dei miei traveler’s cheques (allora si pagava con quelli): “Gimme an identification“, ruggirono. Gli passai il passaporto e gli lasciai 200 dollari, un quinto del mio budget per un mese di viaggio in Usa.
Invoco a testimone (del budget, perchè nell’occasione – perchè? – non c’era) il mio amico Bonzo (qui, è il primo della lista).
Da qualche parte ho il biglietto da visita e la busta di plastica che ti davano per portare i dischi, anche se non sono sicuro che me l’abbiano data l’ultima volta, forse per risparmiare erano già passati a quelle anonime e sottilissime.
Difficile ora descrivere i sentimenti, un po’ patetici, un po’ fatalisti.
Some boys like to watch the saturday cartoons / some girls listen to records all day in their rooms” (Rickie Lee Jones, “Skeletons“).
Mica vero, però. I maschi, i dischi, li ascoltavano molto più delle femmine.