Autosmacco professionale: pur avendone subodorati gli elementi non ho colto, prima del sequestro, che la presenza di vini di Crimea nello stand russo aveva tutti i crismi per diventare un caso. Da buon giornalista, invece, avrei dovuto subito indagare. Non l’ho fatto e me ne scuso.
Qualche attenuante ce l’ho, lo riconosco.
Ma esco dal Vinitaly profondamente deluso da me stesso per non aver colto al volo una questione che era palesemente destinata (o comunque ne aveva tutti i crismi) a deflagrare. E che, anche se non fosse deflagrata, a maggior ragione doveva essere indagata da un giornalista degno di questo nome.
Soprattutto se, come me, si tratta poi di un giornalista attento, da sempre e per mestiere, non solo alle vicende strettamente di settore, ma anche alle più ampie implicazioni socioeconomiche, culturali e politiche.
Alludo al caso del vino della Crimea esposto in fiera allo stand della Federazione Russa e sequestrato martedì dalla GdF a seguito delle proteste diplomatiche dell’Ucraina, paese al quale, secondo la maggioranza degli stati della comunità internazionale, la penisola (autoaggregatasi in forma di repubblica autonoma nel 2014 alla Russia dopo un contestato referendum preceduto da scontri bellici e accenni di guerra civile) appartiene. E’ proprio a seguito dell’annessione che l’UE aveva spiccato sanzioni che vietano l’importazione nell’Unione di prodotti provenienti da Sebastopoli e dalla Crimea.
Dal punto di vista politico il nodo è particolarmente complicato e non è certo questa la sede per approfondirlo, anche se lo conosco bene e conosco bene anche l’aria che si respira da quelle parti, per esserci stato più volte.
Devo aggiungere che, durante la mia troppo fugace presenza quest’anno a Verona, qualcosa avevo subodorato, ma ho davvero scioccamente sottovalutato gli indizi solari che avevo colto.
Ad esempio lunedì, visitando proprio lo stand russo e intrattenendomi ad assaggiare i vini, m’era parso strano che il tour tra i tanti “saltasse” (apparentemente per caso, è ovvio) a piè pari quelli prodotti nella regione. E m’era parso altrettanto strano che si enfatizzasse poco la degustazione ad hoc di vini della Crimea prevista per il giorno dopo dal programma ufficiale presso lo stand, nonchè oggetto di un esplicito invito alla stampa.
Era il sintomo che qualcosa di tempestoso poteva accadere?
Secondo me, sì. Oppure anche no. Ma un giornalista che si chiama tale il dubbio doveva farselo venire, vigilare, domandare.
Non l’ho fatto, non me lo perdono e me ne vergogno molto.
Ne chiedo scusa ai lettori e a me stesso.