Nei bar del capoluogo toscano ti chiedono anche 30 cent per un bicchiere d’acqua, ma poi il cesso pubblico ti chiede 1 euro per “espellerlo”. Fermate il mondo, mi scappa…

C’è qualcosa, in questo mondo falsamente progredito infarcito di roba inutile spacciata per “servizio“, che non torna.
L’altroieri, ad esempio, camminavo in una Firenze calda e assolata. Mi viene sete. Mi fermo a un bar e bevo un bicchier d’acqua. Trenta centesimi. Furto clamoroso a pensarci bene, ma pazienza, la città è turistica, trenta centesimi restano trenta centesimi, alla sete non si comanda e via.
Passa mezz’ora e, forse per via del bicchiere d’acqua, mi scappa un bisognino.
Il primo posto che mi viene in mente nei paraggi è il bagno pubblico sotterraneo di Piazza Ghiberti, quello del parcheggio.
Scendo, entro e mingo.
A espletazione in corso, una voce dal cubicolo accanto mi avverte che “E’ a pagamento!“. “Si fidi, vengo subito“, bercio a mia volta adeguandomi allo stile locale. Esco e mi accingo a pagare.
Un euro“, fa lui, nemmeno fossimo nella versione urbana di “Non ci resta che piangere“.
Lo guardo perplesso. Lui mi guarda. Io lo riguardo. Ha l’occhio velato di apatia. Quindi mi frugo in tasca, pago e me ne vado.
Poi rifletto: ho speso trenta centesimi per bere un bicchiere d’acqua e più del triplo per espellerlo. C’è qualcosa che non va.
Io capisco i servizi, il personale, i costi, le manutenzioni, le pulizie. Capisco tutto. Mi va bene anche la richiesta di un contributo di dieci, venti centesimi. Ma far pagare un euro per una pisciata non è concepibile, prima ancora che ingiusto. Si tratta di un servizio pubblico, un appalto del comune di Firenze affidato a un’azienda privata.
Allora partono i calcoli: 100 visite (minimo!) quotidiane a 1 euro fanno 100 euro d’incasso al giorno, che per 365 giorni fanno 36.500 euro. Trentaseimilacinquecento euro l’anno? Vogliamo darne 15mila al finemente educato custode? Ne avanzano sempre 21.500 per tutto il resto e a parer mio c’è pure un gran guadagno.
Nulla da eccepire sul profitto, per carità, ma allora il Comune che ci mette di suo se il servizio è, appunto (e come tale è pubblicizzato), pubblico? Cioè, si dice che è pubblico un servizio che in realtà è pagato dall’utente e gestito da un’azienda, quindi è privato?
E poi, comunque sia, vi pare normale che espellere una bibita costi più che berla?
Per non dire della ricevuta: mi sono informato, siccome non è “intestata” non è neppure fiscalmente detraibile. E perchè? La bevuta sì e l’espulsione no? Sono entrambe necessità fisiologiche, quindi che il comune emetta regolari fatture a ogni tirata di sciacquone.
Fermate il mondo, voglio mingere.