A vent’anni dal primo volume dedicato al musicista, Pedron ne pubblica un altro con lo stesso titolo, ma nuovo. Il risultato è un’opera monumentale che va oltre la mera compilazione bio-critica e spazia tra generi e contenuti, come un’enciclopedia spargola.

 

Nel 1977 detestavo Ry Cooder.
Chi era costui, che quelli di “Music Box” (la sezione musicale del mensile di hifi “Suono”) idolatravano a ogni pie’ sospinto con titoli a effetto e triplici punti esclamativi? Dov’erano i suoi dischi? I lettori di Ciao 2001, come me, non ne trovavano traccia e alle nostre latitudini il fenomeno degli lp di importazione non era ancora scoppiato. Col senno di poi va detto che loro erano più avanti di noi, anche se forse meno di come si potrebbe credere.
Ma Ry Cooder era davvero, ed è rimasto, un grande.
Infatti, già nel 1978, Ry Cooder lo amavo. E faticosamente, a colpi di sanguinosi risparmi, compravo i suoi album.
Oggi, quarant’anni e quindi anche una carriera dopo, esce un monumentale volume a lui dedicato da Aldo Pedron, vecchia volpe del giornalismo musicale italiano e a lungo protagonista della critica nostrana sulla sponda Mucchio-Buscadero.
La prima domanda che mi sono fatto, al momento in cui ho appreso la notizia, è stata a cosa possa servire, nel 2018, un titolo del genere, se non a dar sfogo al pur encomiabile e dotto trasporto di un competentissimo appassionato che, oltretutto, due decenni fa aveva già dato alle stampe un libro sullo stesso argomento e con lo stesso titolo.
La seconda invece è stata: chi mai lo comprerà?
Se a questo non so dare risposta, dopo essermi immerso nella lettura di “Ry Cooder – Il viaggiatore dei suoni” (Arcana, 2018, 379 pagine, 23 euro e 50) una risposta all’altro interrogativo la posso dare.
Ed è la seguente: è un libro a volte ridondante, ma non inutile.
Non è inutile innanzitutto perchè è difficile da definire. Non è una semplice biografia, non è un saggio, non è una silloge critica, non è un’antologia, non è una strenna. E’ bensì un po’ tutte queste cose insieme. Diciamo una miniera di informazioni che hanno Ry Cooder come unico comune denominatore. Un unico comune denominatore, è vero, a volte tirato un po’ per i capelli: da qui un certo effetto dispersivo che si avverte tra le pagine, quando ad esempio per l’ennesima volta si rileggono i pur ben argomentati profili delle sue maggiori influenze (John Hurt, Flaco Jimènez, etc) o, ancora, quelli dei suoi principali “compagni di viaggio” (Taj Mahal, John Hiatt e così via). Ma è pur vero che non tutti i potenziali acquirenti del volume possono avere decenni di letture e di ascolti alle spalle e quindi tra i più giovani saranno probabilmente in molti a trovare nel lavoro di Pedron la fonte enciclopedica a cui ogni ascoltatore aspira.
Va aggiunto che il libro ha anche altri pregi piuttosto rari in simili tipi di pubblicazione: il tono non è smaccatamente agiografico, lo sguardo volto all’artista è trasversale e disincantato, il testo è in generale ben scritto, le notizie riportate sono davvero moltissime e variegatissime, abbondano inoltre le informazioni di prima mano e la poliedrica figura dell’uomo e dell’artista Cooder (che non è solo un musicista) è sviscerata con passione e profondità.
Ciò affranca la lettura dal rischio della noia e dà al volume una portata che va oltre il novero degli interessi dei cultori più stretti, trasformandolo in una sorta di manuale dilatato, che pur avendo Cooder al centro serve a sapere e ad approfondire su molti altri musicisti, su molti generi di musica, contesti, spigolature.
Per parafrasare – un po’ per ironia e un po’ per nostalgia – certi caratteristici incipit di derivazione buscaderiana, si potrebbe perfino dire che trattasi, almeno in lingua italiana, del “definitivo libro su Cooder!!!” (notare la triplice interpunzione), ma ciò rischierebbe di penalizzare il giudizio su un tomo che, nonostante il focus del titolo, troverà probabilmente posto nella mia personale biblioteca alla sezione enciclopedie e non alla sezione monografie.
Ciò appunto per la marcata eterogeneità dei contenuti: all’apparato critico sull’opera omnia di Ry Cooder si affiancano ad esempio le intavolature di 10 sue canzoni, nonchè l’esame esegetico di trenta composizioni del nostro giudicate “imprescindibili“, oltre all’immancabile e completissima discografia, all’analisi della sua personale  collezione di chitarre e altre amenità.
Ry Cooder – Il viaggiatore dei suoni” sa insomma andare oltre le apparenze di certe asfittiche prospettive fan-oriented ed è consigliato a tutti, tranne ai pochissimi che di Cooder sono già onniscienti. I quali, probabilmente, saranno però anche i primi a comprarlo.
A questo punto vi chiederete che c’entra il cardinale del titolo.
E invece c’entra, c’entra eccome: grazie a Pedron ho scoperto che, udite udite, Ry Cooder è nientepopodimeno che nipote (o pronipote, o forse lontano parente, ma è divertente lo stesso) di Agostino Casaroli, cardinale e segretario di stato vaticano dal 1979 al 1990. La madre di Ry, Emma, ha lo stesso cognome e viene dallo stesso paese sebbene sul punto il diretto interessato glissi! Roba da non credere…