Mancano due mesi alla scadenza del 12 agosto per la cosiddetta “autoriforma” dell’Ordine e il suo adeguamento agli standard europei (nonchè, aggiungo, alle nuove esigenze della professione). Ma dopo l’acceso dibattito invernale e le “linee” che ne emersero, ora tutto tace. Qual è lo stato dell’arte?

Caro Enzo,
visto che ci conosciamo personalmente e che, seppur non concordando forse su tutto, in più occasioni abbiamo avuto modo di apprezzare, l’uno dell’altro, la comune volontà di contribuire al progresso di una professione, quella giornalistica, per la quale non corrono tempi felici, ho deciso di scriverti questa lettera aperta.
L’ho fatto in perfetta buona fede, da persona notoriamente (e ben lieta di essere) fuori dai giochi ordinistici, si chiamino essi partiti, correnti, cordate, parrocchie. Mettendomi nei panni del giornalista comune, giustamente preoccupato per il futuro proprio e per quello della propria categoria, ma non per questo introdotto a tal punto nelle cose da essere al corrente del dettaglio di quanto giorno per giorno, in sede decisionale, bolle in pentola.
Sia chiaro, per non giocare a nascondino: non mi sarebbe difficile, con qualche telefonata, farmi riferire da amici e colleghi consiglieri “what’s going on”. Si tratterebbe però di un modo trasversale che non mi piace troppo. Mi pare assai più lineare e serio chiedertelo direttamente. Potendo contare, ne sono certo, in una tua risposta sincera.
Il motivo per il quale, poi, scelgo la forma della lettera aperta, anziché privata, non è affatto provocatorio (come qualcuno certamente si affretterà a sospettare), ma, al contrario, è dettato da semplici ragioni di trasparenza e di interesse generale: la domanda che ti pongo, infatti, aleggia da mesi non solo nella testa mia, bensì in quella di tutti i giornalisti e gli aspiranti tali: qual è il reale stato dell’arte della cosiddetta autoriforma dell’OdG?
Tutti sanno che il 12 agosto scade l’ultimatum comunitario, e quindi ministeriale, per l’adeguamento ai regolamenti Ue degli ordini professionali. Una scadenza che, a volte strumentalmente, ha scatenato nel recente passato timori più o meno giustificati e messo in ansia decine di migliaia di colleghi. Mi riferisco, è ovvio, anche ma non solo agli allarmi sulla presunta “abolizione” dei pubblicisti, con annessi e connessi.
L’argomento ha vissuto, a cavallo dell’inverno, settimane di fibrillazione. Poi sono uscite le cosiddette “linee di riforma” individuate dal Consiglio Nazionale (a parere di alcuni, in verità, ben lungi dall’accontentare le aspettative ministeriali), che teorizzavano nuovi percorsi di accesso alla professione e tutta una serie di adeguamenti che dovevano però essere raffinati e coordinati in un quadro coerente, dopo il necessario confronto con il governo e, magari, un’auspicabile consultazione della base. Dopodichè, come spesso accade, sulla cosa è calato il silenzio. Più per sinecura della categoria, aggiungo, che per disinteresse dell’Ordine.
Ora che l’estate è alle porte e che, come si usa in Italia, agosto pare essere un mese avulso dal calendario reale, ci si è accorti però che alla scadenza del 12 agosto mancano in pratica meno di due mesi, pochissimi per procedere alla discussione, il miglioramento e l’approvazione di una riforma che da un lato è necessaria come l’aria (anche a prescindere dai desiderata di Bruxelles, mi sento di aggiungere), e che dall’altro si presenta, per le ragioni note, politicamente e operativamente assai complessa da varare.
Con l’aggiunta, non irrilevante, che il termine è assolutamente inderogabile.
Insomma, che succederà? Come ci si sta muovendo? Che aria tira? Si lavora o si è in stallo? Quali ragionevoli speranze ci sono che una professione così delicata e particolare come la nostra non esca con le ossa rotte dalle forzature comunitarie e dall’azione delle numerosi forze ostili che ci circondano, non ultima gran parte di un’opinione pubblica che noi stessi abbiamo spesso contribuito a non renderci amica?
Grazie anticipatamente.
Un saluto, Stefano.