Per il futuro si raccomanda di alzare le soglie di accesso all’Ordine, ma intanto si abbassano quelle correnti. Sbucano i “professionisti che non esercitano in via esclusiva” (cioè?). Il CN smagrisce, ma non troppo. E tutti strumentalizzano tutto.

E’ vero, anzi, verissimo, che le “linee guida” approvate giorni fa a risicata maggioranza dal consiglio nazionale dell’Odg per la riforma dell’Ordine medesimo sono, dal punto di vista pratico, un puro esercizio accademico, visto che non c’è traccia di un interesse del Parlamento a riscrivere in tempi ragionevoli, e nemmeno irragionevoli, la decrepita legge 69 del 1963 che regolamenta la professione giornalistica.
Ma è anche vero che nulla più dei documenti inutili, privi di effetti, insomma di puro principio, è specchio della reale volontà politica di chi quel documento esprime.
Nello specifico una volontà forse non plebiscitaria (61 sì, 51 no, 5 astenuti), ma formalmente legittima e ineccepibile.
Per il testo integrale delle “linee”, leggete qui.
Per chi volesse un sunto, il senso è il seguente: se e quando la riforma andasse in porto, addio ai tesserini facili ottenuti scrivendo qualche decina di articoletti. Per l’iscrizione all’Albo ci vorranno laurea ed esame di abilitazione per tutti gli aspiranti giornalisti. I quali dopo aver superato l’esame medesimo dovranno scegliere la via del professionismo (esercizio esclusivo della professione) o del pubblicismo (esercizio non esclusivo).
Fin qui nulla da eccepire, salvo il fatto che si chiude la porta della stalla quando i buoi sono irreparabilmente scappati (o piuttosto entrati, nel senso di entrati nell’Ordine) e quando la categoria si è diluita in 130mila giornalisti, di cui la metà fuori da ogni inquadramento ed effettivo esercizio dell’attività, ma che risultano accaniti rivendicatori di diritti (alla qualifica) quesiti. Insomma vogliono farsi chiamare giornalisti anche se il mestiere non lo fanno per niente.
I nodi però vengono al pettine se ci si addentra tra le righe della delibera.
Prima stranezza: si scopre che all’elenco dei pubblicisti dovrebbero essere iscritti anche i “professionisti che non esercitano in via esclusiva“. Cioè? Mai sentita nominare prima questa bislacca sottocategoria. Il giornalista non esclusivo è il pubblicista, dov’è la differenza? Il sospetto (mio) è che il fantasioso discrimine serva da escamotage per evitare di retrocedere tra i pubblicisti di nome i tanti che, di fatto, professionisti non lo sono più. A pensar male si farà anche peccato ma finchè qualcuno non mi spiegherà l’arcano resterò della mia idea.
Seconda stranezza: il consiglio nazionale scende da 150 a 90 membri. Giusto tagliare, ma perchè così poco? Va bene la scelta di dare a tutte le regioni una rappresentanza, ma se l’effetto bilancino fa restare la pletora quasi immutata, allora mi pare un’occasione perduta.
La terza stranezza è la variegata interpretazione politico-correntizia del voto che ha portato all’approvazione delle linee-guida, tema indubbiamente magmatico ma che lascio agli esegeti degli equilibrismi corporativi: l’argomento mi nausea.
La quarta stranezza (per me che sono un ingenuo) è la seguente: perchè un indirizzo così teoricamente restrittivo per l’accesso alla professione è stato preceduto, neanche un mese prima, da un altro documento che porta il reddito minimo annuo richiesto per l’iscrizione all’elenco pubblicisti alla ridicola somma di 800 euro nel biennio (cioè poco più di 11 euro a pezzo), mettendo il turbo al già efficientissimo, rovinoso giornalistificio in atto? Trovo tutto questo, a dir poco, straordinariamente contraddittorio.
Chiarimenti che non fossero un sesto grado superiore di arrampicatura sugli specchi sarebbero graditi.
Nota finale: comunque la si pensi, su tutto quanto sopra ho letto decine di commenti, ma non uno (uno!) che si limitasse al merito delle questioni e non le inserisse nell’ambito della vera o presunta guerra di potere tra OdG e Fnsi, o se preferite tra Iacopino e Siddi. Lo trovo di una ristrettezza di vedute gravissima. Io e tanti colleghi a cui sta a cuore il futuro della professione, cioè il nostro, non siamo nè Iacopino boys Fnsi-agitprop, come scrissi qui. E sentirsi ogni giorno tirare per la giacchetta, accusare di connivenza o di essere gli utili idioti dell’uno o dell’altro da parte di certi tromboni ultraschierati fa sinceramente venire il nervoso.