Come cazzo han fatto i rider” ad avere presto le tutele che i freelance reclamano inutilmente da decenni, si chiede una collega? Come abbiano fatto, io non lo so. Come abbiamo non fatto noi è invece chiarissimo.

 

Giorni fa su FB, a commento di un articolo dal titolo indubbiamente efficace (“Come cazzo hanno fatto i rider“, qui), la  collega Valeria Tancredi si poneva la stessa domanda a proposito della nostra categoria, cioè i giornalisti.

Possibile che in breve tempo i ciclofattorini abbiano ottenuto attenzione, tutele e riconoscimenti laddove da decenni noi languiamo nell’indifferenza generale?

Uno dei motivi per cui si è giunti così presto ad un accordo tra i rider e l’azienda – si legge nel pezzo – credo vada ricercato anche nel fatto che i rider si sono potuti dotare di organismi di rappresentanza autonomi, le Riders Union, che hanno prontamente ottenuto un riconoscimento sostanziale e trasversale. Mentre gli altri precari italiani devono vedersela con sindacalisti che rappresentano in contemporanea anche gli assunti, i contrattualizzati, i pensionati e che per difendere gli interessi di alcuni, che sono sempre già tutelati, barattano continuamente con le aziende i diritti degli anelli più deboli della catena“.

Un’altra collega interveniva ricordando che, primo, i rider sono comunque pagati e che, secondo, non soffrono come noi la concorrenza sleale di quelli che lavorano gratis.

Tutto vero.

Premesso che, secondo me, è ormai tardi per tentare qualsiasi colpo di coda, ci sono però anche altre ragioni da cercare, come si diceva un tempo, “a monte” di questa surreale situazione.

Ad esempio il lavoro dei fattorini è più o meno sempre lo stesso, mentre quello del giornalista si esprime in mille modalità e circostanze diverse, dando vita a dinamiche, costi, ruoli, modi di esercizio, mercati e compensi diversi, quindi generando sottogruppi che rendono il fronte non solo disomogeneo e scollegato, ma poco riconoscibile dall’esterno (come riprova il fatto che il settore è praticamente ignorato a livello governativo, nonostante gli infiniti appelli).

Quello del rider è poi un lavoro poco ambito e poco prestigioso, ma utile e pure necessario, nel senso che è sorretto da una domanda sostenuta, paghe non simboliche e una buona offerta. Quello dei giornalisti autonomi è invece un mestiere pletorico, eccedentario da decenni e divenuto oggi in larga misura hobbistico, visto che, anzichè produrre un reddito, nella stragrante maggioranza dei casi genera dei costi e quindi presume che chi lo esercita – pur con i mille distinguo del caso – viva d’altro al punto da permettersi un passatempo camuffato da lavoro.

Del resto, e non da ora ahinoi, la nostra è la unica professione (ordinistica, pure!) nella quale si entra e si resta pressochè a vita senza dover dimostrare quasi nulla e senza guadagnare nulla, in un’ottica di malintesa democrazia che, invece di giornalisti protetti (e quindi indipendenti) e ben remunerati, produce nuovi poveri indifesi.

Insomma, parrà impossibile ma ai giornalisti va molto peggio che ai rider e di quest’avvitamento non si vede la fine (sempre ammesso che la luce in fondo al tunnel non sia un treno in arrivo, ad esempio quello della pandemia, fonte di un’autentica eutanasia professionale).

Innanzitutto c’è un solo sindacato, che da un lato si autoproclama unico (nel senso dei giornalisti nella loro globalità, ma poi riunisce meno del 10% degli autonomi salvo pretendere di rappresentarli tutti) e che però dall’altro, per mantenere il suo potere, per un verso si oppone da sempre alla nascita qualsiasi organizzazione alternativa, mentre per un altro verso è privo della volontà politica (o forse della capacità o di tutte e due) di mettere in campo azioni efficaci, nascondendosi dietro al paravento di inutilissime ma permalossissime commissioni interne (per capire come funziona il sistema, vedere qui).

I rider, poi, hanno i loro organismi di rappresentanza, le Riders Union? A sentire questi termini, forse a parecchi sindacalisti fischieranno le orecchie e torneranno in gola fastidiosi rigurgiti di ormai polverose delibere congressuali.

Una cosa, invece, è certa: rispetto ai fattorini, che almeno vanno in bici, i giornalisti restano appiedati e senza scarpe.

Ma i calcioni si danno anche a piedi nudi e il momento si avvicina.