Consueto pistolotto econodomestico del primo dell’anno su come riciclare le ormai scomparse agende-regalo rimaste intonse negli scatoloni in cantina: il calendario del 2002 e quello del 2019 sono infatti, Pasqua esclusa, identici. O su come compiacersi delle poche che ancora ti donano.
Rieccoci all’acqua, come si usa dire.
Non so a voi, ma io stavolta ho toccato il minimo storico: una sola l’agenda per l’anno nuovo ricevuta in regalo da banche, assicurazioni, case editrici e fornitori vari.
Si chiama Vitenda, me la mandano da anni ed è utilissima: non solo in sè, ma per il mio lavoro. E’ infatti l’”agenda del vitivinicultore”. Trecentotrentasei pagine, formato 19 x 27 cm cartonato e prezzo18 euro. Oltre agli accuratissimi diari per le lavorazioni in vigna e in cantina, contiene un ponderoso apparato sui disciplinari di produzione dei vini italiani, i consigli di cent’anni fa estrapolati da Il Coltivatore di Ottavi, citazioni serie e facete, riferimenti bibliografici degli articoli che trattano di vite e di vino. Grazie ai QR CODE stampigliati sulle pagine, si può accedere poi ai blog che trattano del medesimo argomento. Ci sono inoltre testi di tecnica viticola ed enologica, ricerca e tecnologia e la rassegna delle manifestazioni che hanno come minimo comune denominatore il mutualismo e la solidarietà e come collante il vino. La pubblica la Vit.En di Ast.
Insomma, prosit.
Detto questo, una piccola riflessione dettata anche dal vecchio disco del bluesman Taj Mahal che ha ispirato il titolo di questo post.
Mentre è evidente che l’agenda come genere di uso e consumo quotidiano è in via di fatale estinzione, con ciò che ne consegue in termini di perdita di memoria e di testimonianze, la progressiva velocità di avanzamento del deserto digitale che ci sta inghiottendo è testimoniata dal fatto che ormai anche le agende informatiche stanno segnando il passo. Sempre più difficile infatti gestirle e sincronizzarle dal pc sul telefonino, perchè quest’ultimo (anzi, i suoi reali padroni, cioè la cupola tecnologica che sovraintende alle nostre vite) pretende che ne si affidi il contenuto al cosiddetto cloud, ovvero l’immaterialità dell’immaterialità.
Il che, con buona pace degli amanti del genere, è un ulteriore passo avanti verso l’evaporazione definitiva delle annotazioni e lo smarrimento di ogni ricordo.
Contenti voi…
Io intanto liscio tra le mani anche il bellissimo esemplare di agenda del 2002, carta sottile e pregevole rilegatura in stoffa, or ora recuperata nel ripostiglio.
E chi non la pensa come me, il cloud lo colga.