Giorni fa pareva che il Real Madrid, oltre a fare pressioni sul giocatore, intendesse agire contro l’Inter, accusandola di tentare l’acquisto di Luka Modric con soldi provenienti da sponsorizzazioni dirette della Suning, aggirando così le regole del fairplay finanziario. Tutto è ancora in ponte e vedremo come andrà a finire.
Sempre ammesso che la vicenda (trattativa col centrocampista inclusa) sia reale, e a parte la questione del pulpito dal quale viene la predica (visto che se al mondo c’è una società capace da sempre di drogare con ogni mezzo il mercato della pedata è da sempre quella madrilena), di primo acchito viene da chiedersi il perchè di tanta foga, se non per l’ovvia ragione che, stavolta, della furbata gli spagnoli sarebbero le vittime e non gli artefici. Silenzio di tomba, invece, quando i furbi e le vittime erano altri.
Ma sarebbe una domanda diversiva, per sviare dal nocciolo vero della questione.
Che a mio parere è invece il seguente: può anche darsi che, nel calcio italiano odierno, campionissimi e anzi veri e propri brand come Ronaldo o Modric facciano ancora la differenza (tecnica forse, finanziaria di sicuro), ma del loro arrivo non c’è da rallegrarsi affatto.

Per tre ragioni, una conseguente all’altra.

Primo: sono gran giocatori e tuttavia, se non al tramonto, in una fase anagraficamente calante della loro carriera. Voglio dire: integrità fisica comprovata, professionalità inappuntabile, non discuto. A trentatrè anni, però, in un football che si è evoluto in prestazioni atletiche estreme e in tour del force da sessanta partite a stagione, il logorìo è inevitabile. A mio parere i due ne sono perfettamente consapevoli ed è anche per questo che hanno voluto o vorrebbero cambiare aria. Come, dal loro punto di vista, dargli torto?

Ma verso quale destinazione e con quali accordi contrattuali (e qui è il secondo punto)? Ovvio, verso un ingaggio milionario e una destinazione di quasi pari prestigio, sebbene di oggettivo minore livello tecnico/atletico, ove possano ancora brillare in virtù anche di maggiore indulgenza critica, di aspettative più dure a attenuarsi, nonchè di un circus mediatico, quindi di visibilità,ugualmente potente, in attesa magari di chiudere davvero, quasi quarantenni, in qualche campionato arabo o statunitense.

Ecco, è a mio parere la durata del contratto che mette allo scoperto uno dei punti deboli di simili operazioni: strapaghi per quasi un lustro calciatori che, sportivamente, tra un paio d’anni saranno pensionati del pallone o giù di lì.

Insomma, non gioisco di questi approdi senili in serie A, peraltro ricchissimi di precedenti. I Maradona e i Ronaldo venuti a giocare in Italia erano in un momento ben diverso della propria carriera e del proprio vigore fisico, non facciamo paragoni che non ci stanno. Ma Rivaldo o Furlan, tanto per fare degli esempi?

E se ciononostante qualcuno titola che i “campioni” tornano a giocare da noi, è forse solo perchè è ingenuo o perchè vuol dare fiato alle trombe della propaganda (terzo punto) del calcio-industria-e-spettacolo, cioè proprio quello che non mi piace per niente

Di tutto questo, lo dico a scanso di equivoci, credo che, in fondo in fondo, tutti i grandi club internazionali, compreso il mio, siano complici. Non delle singole operazioni, ma del sistema, ovvero del gioco che le alimenta e le sostiene. Quello cioè che prevede l’artificioso, sistematico pompaggio planetario dell’entropia pedatoria, già responsabile di aver trasformato lo sport (non solo il calcio) in un teatro. Iperprofessionistico quanto si vuole. Ma sempre teatro. Cioè recitato. Cioè finto.