Della serie il presunto progresso è un sicuro regresso, ecco una nuova puntata della Dinasty fiscale messa in scena dai fautori del pensiero unico digitale.
Stante l’impossibilità materiale, per l’85% dei cittadini-sudditi, di orientarsi in autonomia nella giungla telematica creata dagli ideologi della fiscalità digitale e, di conseguenza, la necessità per qualunque persona normale di ricorrere ai servizi di un professionista (giustamente pagato, va da sè), il risultato è che, alla fine, l’unico ad avere libero e ininterrotto accesso alle fatture del contribuente non è il contribuente medesimo, ma appunto e soltanto il suo commercialista.
Il quale ha ovviamente una vita privata, un ufficio e orari che, pertanto, ogni povero Cristo è costretto a rispettare anche se ha bisogno urgente di compulsare, verificare, controllare le fatture elettroniche. Documenti che, in teoria, sarebbero suoi e riguardarebbero solo lui, ma che si trovano di fatto ad essere loro malgrado sequestrate presso il fiscalista di fiducia, nemmeno fosse un custode nominato dal tribunale.
Nel tripudio degli smanettoni e degli evasori il buon senso ha per sempre tirato il calzino.