Sbaglia quel giornalista che, autocertificazione professionale in tasca, gira in motorino i quartieri della città tenendo a distanza di sicurezza uomini e cose, ma avvicinandosi quanto basta per vedere e poi raccontare? Perchè anche cercare le notizie è un viaggio.
Di qualunque cosa si occupi, e anche se o quando fa altro, un giornalista resta un giornalista. Con i suoi doveri, le sue attitudini mentali, la consapevolezza della delicatezza del proprio mestiere, l’abitudine un po’ cinica e un po’ sana a restare terzo nei confronti di ogni situazione. O almeno a provarci al massimo delle proprie capacità.
I giornalisti di viaggio non fanno eccezione: sono e restano prima di tutto giornalisti, quindi cronisti. Devono saper osservare, captare, intuire, porsi delle domande e trovare le risposte, magari facendo domande agli altri, cominciando proprio da chi, e un motivo ci sarà, non vuole riceverne.
Io sono abituato così da trent’anni e non ho mai cambiato idea, nè atteggiamento.
Ma oggi sono in difficoltà.
Come ogni mattina ho aperto l’agenda (sì, anche la domenica: sono un libero professionista con partita iva da sempre, di quelli a cui il governo vorrebbe dare, ben che vada e dietro mille insondabili condizioni, 600 euro una tantum come risarcimento della rovina professionale dovuta al coronavirus) e guardo le cose da fare oggi, domani, in settimana, nelle prossime settimane.
Il risultato dell’indagine di oggi è: niente.
Solo una sfilza di righe e di committenze revocate, spostamenti annullati, appuntamenti cancellati, eventi posticipati, viaggi sospesi, articoli rimandati sine die.
Economicamente parlando, un disastro irrimediabile.
Ma non è questo che più colpisce, perchè è chiaro che i danni saranno forti per tutti.
E’ che in questo almanacco deserto, in questo calendario pneumaticamente vuoto, non c’è neppure posto per la noia, o la disperazione. Ce n’è solo per la solita, abusata, a volte malintesa, citatissima domanda: ma io che ci faccio qui, in questo vuoto? Cosa ho da esplorare, da riportare? Di cosa, obbedendo almeno all’istinto, posso fare la cronaca?
Programmare è inutile. Vagheggiare, forse, è possibile, quello sì. Ma resta appunto un esercizio di fantasia. Rievocare o ricordare, anche: ma spesso è triste e perfino un po’ patetico, sa di bei tempi andati.
E allora sbaglia davvero quel collega che, confessandolo sui social, ogni giorno con l’autocertificazione professionale in tasca, con casco e motorino gira per i quartieri della città semideserta, tenendo sì a distanza di sicurezza uomini e cose, ma avvicinandosi abbastanza da vedere, memorizzare, ragionare, raccontare? Insomma, facendo il giornalista, dando cioè fiato all’informazione e svolgendo comunque un’attività che, fino a prova contraria, non è sospesa?
Ho letto da qualche parte che lo fa a suo rischio e pericolo: di contagio, di incidenti, di denuncia se trova un poliziotto troppo zelante, o che non capisce, o che interpreta a modo suo.
Vero.
Eppure resto convinto che, dove ci sono le notizie, debbano esserci anche i giornalisti. E le notizie si cercano, non arrivano quasi mai da sole. Ma cercare le notizie, non è di per sè un viaggio?