La galassia del giornalismo è fatta di mondi paralleli che non comunicano e spesso si ignorano. Finendo per ostacolarsi a vicenda, a reciproca insaputa. Così accadono cose di cui solo alcuni, e non altri, conoscono le ragioni. Intanto tutti strumentalizzano tutto e la professione resta al palo…

I giornalisti contrattualizzati, i redattori insomma, hanno in testa un’idea “fissa“.
No, non quella.
Un’altra.
Meno sibaritica ma non meno piacevole, visto che alla fine si tramuta in denaro. Il quale non è tutto, ma ha la sua importanza, visti i tempi che corrono.
Quest’idea fissa si chiama, guarda caso, “fissa”. Anzi, per la precisione “ex fissa“. Una locuzione a cui i non addetti ai lavori, giornalisti autonomi compresi, guardano con stupore, senza capire che sia.
Eppure si tratta di una cosa importante, per la quale, ciclicamente, la categoria litiga, si dibatte, strepita e minaccia: è infatti la volontaria quota dell’1% dello stipendio di ogni giornalista dipendente che, per contratto, gli editori devono versare all’apposita cassa previdenziale integrativa (qui). La quale amministra i fondi così raccolti e, appunto sotto forma di pensione integrativa, ne gira il ricavato agli iscritti, una volta che questi hanno raggiunto l’età pensionabile. Gliela gira, nota bene, sia che gli interessati abbiano cessato l’attività, sia che continuino a lavorare, magari come freelance, o cococo, o qualcos’altro.
Quando, ai primordi della mia carriera da libero professionista, venni a conoscenza di questo ennesimo ed eccellente privilegio di cui godevano i colleghi assunti, non potei che compiacermi per il futuro indubbiamente migliore del mio che, almeno dal punto di vista finanziario, gli si prospettava: stipendio garantito, pensione e, dopo, perfino una pensione integrativa garantita per contratto.
Non ho cambiato idea, da allora. E continuo a pensare che questa del fondo sia una gran bella trovata.
Il sorriso mi passa se invece penso che, nonostante mille tentativi, non si sia ancora trovato il verso di estenderlo ai freelance veri, cioè a quelli che, non da dipendenti nè da pensionati, ma da liberi professionisti nel fiore degli anni, esercitano la professione in forma esclusiva o prevalente. Uno dei tanti problemi sul tappeto del giornalismo italiano ai quali non si riesce a dare una soluzione, mentre la professione, ormai a maggioranza di non contrattualizzati, affoga.
Ma non è di questo che voglio parlare, bensì di altro.
Ovvero di due cose.
La prima è che, se prendiamo un campione di cento freelance, credo appena un 5% di loro sappia cos’è la “ex fissa“, esattamente come su un campione di cento contrattualizzati solo il 5% conoscerà la differenza sostanziale tra un “collaboratore” e un libero professionista. A dimostrazione dei compartimenti stagni nei quali viaggia il nostro mestiere.
La seconda è questa.
La settimana scorsa, su questo blog, postai (qui) un intervento piuttosto seguito in cui mi chiedevo, maliziosamente, se la ripresa di certe ostilità e distinguo preautunnali registrati da qualche tempo tra i colleghi fossero il frutto di un sincero rigurgito di coscienza, oppure il segnale dell’avvio della campagna elettorale per il rinnovo dei vertici dell’Ordine dei Giornalisti previsto nella primavera del 2013. E se le infuocate discussioni dei mesi scorsi (equo compenso, riforma, assicurazione obbligatoria, scadenza del 12 agosto con minacciata abolizione dei pubblicisti, etc) non fossero quindi che uno strumentale antipasto dell’incipiente tam tam propagandistico.
Ebbene: sono stato clamorosamente smentito. E la cosa mi brucia parecchio.
No, non per la smentita in sè (se qualcosa smentisce il mio tendenziale pessimismo, in generale ne godo).
Ma perchè le cose sembrano stare molto peggio di come pensavo.
Ovvero: avevo azzeccato tutto, dalla strumentalità degli argomenti all’interpretazione dei sintomi.
Solo che avevo sbagliato i tempi e l’oggetto: la scadenza in funzione della quale si registravano le scaramucce non erano – me ingenuo! – le elezioni dell’Odg, ma quelle, assai più imminenti (fine ottobre) del cosiddetto Fondo Complementare, insomma l’ente che gestisce il gettito della famigerata “ex fissa”. Intorno alle quali, a puro fine di propaganda, cioè di voti, già si registrano i consueti scontri dialettici, personalismi, invettive, correnti, fazioni e imboscate, anche con ampio uso degli argomenti “sensibili” che abbiamo ricordato sopra.
Intendiamoci: è tutto legittimo e, in fondo, perfino umano. L’ennesima prova della litigiosa natura topesca della nostra società giornalistica.
Che tristezza, però, questo ciclico soffiare sul fuoco dei sentimenti professionali ad uso poltronesco, agitando come uno specchietto lo spettro di riforme e innovazioni che non arrivano mai, perchè forse il miraggio di esse va tenuto buono per quando c’è da alimentare il megafono elettorale.
Un consiglio dunque ai colleghi più giovani, più arrabbiati, più preoccupati, più militanti: quando nel nostro ambiente succede qualcosa o si parla troppo di qualcos’altro, sappiate che non avviene mai per caso. Guardate in alto, dietro le nuvole, e vedrete nascosto da qualche parte un burattinaio, magari travestito da cumulonembo. Dopodichè palpatevi bene addosso e assicuratevi di non avere anche voi, inconsapevolmente, qualche filo attaccato che vi fa muovere a comando. Altrui, si capisce.