O finge di non sapere: per l’AGCom il 40% di quelli “attivi” si occupa e quindi è parte integrante dei settori danneggiati dal covid, ai quali il governo offre ristori e slittamenti fiscali. Nulla invece è esteso agli autonomi, la metà di quel 40%. Con un post scriptum.
Caro premier,
il governo ha giustamente varato “ristori” (espressione comunque, ce ne dia atto, di un umorismo involontario finissimo) e una serie di slittamenti fiscali a favore delle categorie particolamente svantaggiate dalle chiusure ex covid: ristorazione e dintorni, spettacolo, turismo, etc.
Ottimo, anche se l’espressione “tregua fiscale” con cui il pacchetto viene descritto dovrebbe dirla lunga a lei e ai suoi collaboratori sullo stato di belligeranza passiva, permanente e non sempre giustificata, nel quale il cittadino si sente opprimentemente coinvolto.
A parte questo, però, vorrei portare alla sua attenzione un dettaglio che in apparenza lei non conosce o che, al pari dei suoi ministri, probabilmente finge di non conoscere.
Parte integrante di ogni settore economico, inclusi quelli de quo, è la filiera dell’informazione che ad essi fa riferimento e che da essi in una buona misura dipende.
In parole povere, se ad esempio chiudono cinema, teatri e ristoranti non solo la gente non va più a mangiare fuori nè a vedere gli spettacoli, ma non ha nemmeno più bisogno o necessità di leggere guide o recensioni di locali, film, rappresentazioni, concerti. Ne consegue che più nessuno compra i giornali o legge le rubriche che essi dedicano a quegli argomenti. Di conseguenza, le testate specializzate a loro volta chiudono e le rubriche sulla stampa generalista riservate a quei temi vengono soppresse.
Quindi – ed eccoci al dunque – a nessuno dei giornalisti che si occupano di quei settori viene più chiesto di scrivere una riga in proposito. Per i giornalisti scrivere però non è un hobby, è una fonte di reddito.
“Scriveranno d’altro“, dirà lei con un’alzata di spalle, come del resto dicono gli editori pagatori di stipendi, i redattori percettori dei medesimi e perfino il sedicente sindacato dei giornalisti, per il quale appunto esistono solo i dipendenti delle imprese editoriali.
E invece no.
Se trovasse il tempo di leggere non certamente me, che non conto nulla e non sono nessuno, ma ad esempio il freschissimo (novembre 2020) report dell’Osservatorio sul giornalismo dell’AGCom, scoprirebbe invece una duplice e sconcertante realtà. Primo: non solo il 40% dei giornalisti “attivi” (cioè iscritti alla cassa di previdenza, il che significa produttori appunti di un reddito professionale) è rappresentato da autonomi, ovvero professionisti indipendenti e in quanto tali privi di salario, maternità, ferie pagate, tredicesima, ammortizzatori sociali e d’ogni altro paracadute, ma dotati di famiglia da mantenere. Secondo: : oltre la metà di loro si occupa, guarda caso, di spettacolo, cultura, tempo libero, costume, viaggi, enogastronomia, etc.
Questi lavoratori – perchè di ciò si tratta – sono dunque parte integrante, sebbene indiretta, di quelle filiere economiche e quindi anch’essi danneggiatissimi dalle restrizioni. Un danno che, oltre a chi scrive, colpisce le migliaia di colleghi impegnati nella comunicazione di quei settori.
Eppure, dopo i pannicelli caldi di marzo, aprile e maggio (i famosi bonus arrivati peraltro con tre mesi di ritardo), per costoro nè dal governo nè dalla politica è arrivato un refolo di sostegno, di interesse, nemmeno di solidarietà verbale, nonostante il fatto che il terremoto del primo lockdown si sia nel frattempo trasformato in una voragine strutturale che ha già inghiottito molti e che in breve finirà per inghiottire tutti. Nella sinecura generale, tuttavia.
E pensi che non abbiamo neanche un monopattino, un banco a rotelle, un permesso sindacale, una cassa integrazione, neppure un salvagente statale e nemmeno (figuriamoci…) una pensione per scappare da questo paese e cercare altri mezzi per sbarcare il lunario.
Se ne ricordi, la prossima volta che diffonde la diciottesima bozza di un qualche decreto o permette al suo portavoce di fare dell’ironia sui giornalisti.
Saluti,
ST
Post scriptum: la lascio poi valutare se sia dignitoso per noi del settore e decente per lei, il governo e il paese che, per sopravvivere, fior di professionisti messi sul lastrico da una crisi antica e – nonostante decenni di allarmi – mai seriamente affrontata, debbano campare facendo affidamento su elemosine una tantum imposte dalla contingenza e non su un sistema serio di tutela dei loro redditi e della loro professionalità.
Se vuole, alla prima occasione ne parliamo.