Dodici anni fa, più o meno a quest’ora, Fabio Grosso segnava il rigore che dava all’Italia il quarto titolo mondiale.
Urlai così forte che la nostra cucciola se la fece addosso dalla paura, ma il giubilo era troppo.
Oggi si tende a ridimensionare quella vittoria, che fu forse la prima di un calcio moderno in cui il senso delle rappresentative nazionali perde in parte la sua ragion d’essere al cospetto di uno sport sempre più globalizzato e cosmopolita.
Fu una grande vittoria, ma non epica come nell’82, che resta il nostro mondiale-faro.
A parte la semifinale con la Germania, facemmo fuori Australia e Ucraina, non Brasile e Argentina. C’erano grandi giocatori (soprattutto se paragonati agli azzurri di oggi) da Del Piero a Totti, ma vuoi mettere Iaquinta con Pablito, Zaccardo con Gentile, De Rossi con Tardelli? Non c’è gara.
Poi c’era appena stata calciopoli.
Insomma vincemmo e gioimmo, ma oggi se ne sono ricordati in pochi.
Eppure Materazzi che pareggia e leva le braccia al cielo dedicando il gol alla mamma morta me lo ricordo bene.
Alla faccia di Zidane.
