Elegia per Tarcisio Burgnich.
Ogni generazione ha i suoi film, le sue epopee. Quelle che di norma ti si stampano nella retina tra i sette e i ventun’anni.
Il 17 giugno 1970 di anni non ne avevo ancora dieci e, ovviamente, con famiglia e amici davanti alla tv in bianco e nero seguii “vivo-live” (così scriveva il sottopancia) la semifinale di Mexico ’70: Italia-Germania, poi finita 4-3 e divenuta la partita del secolo.
Al 4′ del primo tempo supplementare tuttavia, sull’1-1, Gerd Muller la fece sembrare a tutti la fregatura del secolo. Nessuno si aspettava il seguito, in casa c’era aria di smobilitazione anche se quella nazionale era piena di interisti.
Poi, all’8′, Rivera scodella in area tedesca una punizione, il difensore sbaglia l’intervento e la palla finisce sui piedi di lui, Burgnich Tarcisio il furlan, difensore arcigno dalla faccia scolpita nella pietra.
Attimi interminabili: che ci fa lì Burgnich, a cinque metri dalla porta in un’epoca in cui di rado i difensori (Giacinto escluso, si capisce) superavano la metà campo?
Quesito inutile e superfluo.
Tarcisio non esita: mezza girata di collo pieno sinistro e palla nel sacco!
2-2 e cambia tutto tra l’incredulità generale.
Ecco, dei mille interventi del grande Burgnich, interista doc della massima epopea nerazzurro, rammento questa più di ogni altra cosa.
Pazienza se qualche giorno dopo Pelè ti piccionò sul quel cross in finale. Era Pelè.
Ma tu sei rimasto Burgnich.
Sono felice che tu abbia fatto in tempo a vedere il 19° scudetto.
Ora puoi giocare i supplementari celesti con Picchi, Facchetti e Bellugi.