Viaggio alle soglie del ridicolo e della praticabilità giornalistica: l’articolo determinativo ha un plurale politically correct? In un titolo su marito e moglie bisogna scrivere “i” coniugi”, o “i/e coniugi”, o “* coniugi” oppure “ə coniugi”?
La questione è da togliere il sonno. Oppure da indurlo con effetto immediato.
Me l’ha sollevata il titolo di un articolo apparso sul Corriere giorni fa a proposito di mogli e mariti di politici o candidati che via via scendono in campo a favore del congiunto: “Il partito dei consorti“, titolava infatti il quotidiano, secondo me con indubbia efficacia.
Non intendo addentrarmi nella questione di merito, a mio parere di disinteresse estremo, ma approfondire invece l’aspetto terminologico e grammaticale della faccenda. Perchè, per chi fa il nostro mestiere, esso ha risvolti pratici mica da poco: fare i titoli in un giornale è un’arte che implica acume e attenzione. E soprattutto comporta capacità e necessità di sintesi: gli spazi sono ridotti e lì ci deve stare tutto, con la massima comprensibilità ma senza scivoloni (sui quali, non a caso, esiste una vasta letteratura).
Quanto sopra però è quasi sempre incompatibile col politicamente corretto: come si fa a inserire in un titolo gli asterischi o le odiose sbarrette inclusivo-specificative (“i/e”)?
Di contro, con l’aria che tira, specificare, come ha fatto il Corriere, “dei consorti”, mettendo al maschile la preposizione articolata plurale, potrebbe essere roba da bomba H dell’eufemismo.
Nessuno finora, mi pare, si è infatti preoccupato dello spinoso problema del genere da dare agli articoli determinativi plurali senza correre il rischio di urtare l’ipersensibilità di qualcuno.
Dunque alla fine come bisognerebbe scrivere?
Un ridicolo “partito de* consorti“? Un patetico (e ingestibilmente lungo) “partito dei consorti e delle consorti“? E perchè non un più cavalleresco (ma forse proprio per questo potenzialmente e pericolosamente sessista) “partito delle consorti e dei consorti“? Per finire con un “partito dei/delle consorti” (in tal caso sfido chiunque ad evitare le convulsioni leggendo una simile cosa nel titolo di un giornale).
Nella certezza che nessuno o quasi capirebbe, o al massimo si penserebbe a un refuso, si potrebbe ricorrere allora al cosiddetto schwa e mettere “partito deə consorti”?
In attesa di pronunciamenti della Boldrini e di severi precetti in materia da parte dell’Ordine dei Giornalisti, mi piacerebbe sapere che ne pensano amici, colleghi e la gente in generale. Soprattutto quella normale, che in genere ha cose più serie a cui dedicarsi e di norma legge i titoli semplicemente per capire di cosa parlano gli articoli.
Grazie.
Per completezza di informazioni, riporto qui sotto il lemma che al termine “consorte” dedica la Treccani on line.
“Consòrte (ant. consòrto) agg. e s. m. e f. [dal lat. consors –ortis, comp. di con– e sors «sorte»]. – 1. agg., letter. a. Che partecipa della medesima sorte di altri: Qual si fé Glauco nel gustar de l’erba Che ’l fé consorto in mar de li altri dèi (Dante); quindi, in genere, compagno, partecipe: E invitò lui ch’egli volesse al manco De l’ultima vittoria esser consorte (T. Tasso); esser consorti nella gioia, nel dolore, ecc. (o della gioia, del dolore di qualcuno); anche non riferito a persona: consorte Ai lugubri miei giorni, Pensier che innanzi a me sì spesso torni (Leopardi). b. estens. Concorde, unito: spiriti c. nel pensiero e nell’azione (Carducci). 2. s. m. e f. Coniuge: la perdita del c., del marito; accompagnato dalla c., dalla moglie; Con la squallida prole e con la nuda C. a lato (Parini). In funzione appositiva, principe c., il marito della regina, quando il potere regio è detenuto da questa (nei paesi dove non vige la legge salica); estens. scherz., il marito di una donna la quale, per la posizione occupata, il prestigio goduto e sim., risulti in posizione di superiorità rispetto al marito stesso. Nell’uso poet., anche riferito ad animali: Quel rosignuol, che sì soave piagne Forse suoi figli, o sua cara c. (Petrarca). 3. s. m., ant. a. Parente, consanguineo: tutti miei consorti Ha ella tratti seco nel malanno (Dante). b. Persona unita ad altre da stretti rapporti, soprattutto di natura politica (cfr. consorteria).”