Io capisco l’ansia anche psicologica, a volte un po’ patetica, di rompere l’isolamento, nemmeno che stare in casa fosse come stare a San Vittore. La capisco e in parte la condivido pure. Capisco anche l’esaltazione di vedere avvicinarsi la fine della reclusione e l’effiorescenza di progetti che in tale prospettiva la fantasia suggerisce per mettere a frutto la “ripresa” di cui tutti parlano, spesso confondendola (abbaglio!) con la normalità.
Guardo pertanto con simpatia alle espressioni della tipica creatività italiana, frutto da un lato dell’arte di arrangiarsi e dall’altro di intuizioni a volte davvero folgoranti.
Nella seconda specialità eccellono i romagnoli, non a caso presi a regolare esempio per la loro capacità di adattarsi, tirarsi su le maniche e mettere a profitto anche le circostanze meno favorevoli.
Ma c’è in limite a tutto, anche al genio, e mi pare che stavolta il limite si sia toccato.
Leggo infatti della proposta/progetto, in attesa dell’apertura della stagione balneare e sotto il proclama liberatorio “le vacanze si faranno”, di andare al mare non solo muniti di mascherina (già immagino fantastiche acrobazie per evitare l’abbronzatura-passamontagna), ma rifugiandosi addirittura in gabbiotti di plexiglass anti-covid19, alti due metri e larghi 4,5 metri, chiusi sui quattro lati tranne un varco per il passaggio.
Costi, manutenzione, appannamento da salsedine a parte, immagino il godimento (tranne forse il vantaggio di evitare pallonate moleste e il cicaleccio dei vicini) di stare in quell’effetto serra quando fuori ci sono 40°.
In casi sono due: o si è bollito il cervello che l’ha pensata, o bolle tutto intero chi ci va dentro.