Da giovane sono stato pescatore, sebbene fedele seguace dello “stile Giunti”: acqua tanta e pesci punti. Il che non mi ha impedito nè, in una minore misura, mi impedisce di amare ancora quello sport.
Non so quindi se mi suoni più preoccupante l’invenzione in sè o l’affermazione che “non ne potremo farne a meno” or ora letta sull’edizione on line di un importante quotidiano a proposito dell’imminente messa in commercio di un “drone subacqueo per pescare”.
In pratica, è la versione 4.0 della pesca con la cara, vecchia dinamite: bomba in acqua e retino per raccogliere i pesci uccisi dallo scoppio.
Il drone è infatti una sorta di mini sommergibile che si muove “fino a 30 metri di profondità, attorno al punto in cui avete gettato l’amo”. Mentre attendete, dimenticatevi pure esche, calate, pasture, trucchi e perfino di fare silenzio, tanto pensa a tutto lui: con “raggi di luce blu” (!) attira i pesci, individuandoli tramite un sonar capace di arrivare fino a 70 metri di profondità. Non basta? Eh no, infatti è capace di fare anche meglio: “…grazie ad un sistema Wi-Fi invia in superficie le foto in HD del fondale sulla app dello smartphone del pescatore, oltre a dati ambientali come la temperatura dell’acqua” e, ovviamente, la “tipologia dei pesci individuati, suggerendo le tecniche di pesca più adatte”.
Di fronte a un tale dispiegamento di forze digitali, il povero pesce non può che capitolare.
Prossimo presumibile passo, la pesca “wireless” e “rodless”, cioè senza fili e, finalmente, pure senza canna, e che diamine!
Più di questo, agli alieuti digitali cosa resta?
Forse solo di evitare la fatica di andare a pescare, recandosi, come si faceva una volta, in pescheria per comprare dei bei pescioni da mettere nel cestino vuoto e da gabellare come catture.
Sempre pesca del Giunti resta, ma molto meno divertente.