Dovevo restituire 100 euro a un amico che vive in una città lontana. Gli chiedo come fare. Lui mi dice: semplice, ricaricami la carta postapay dal tabaccaio.
Io, che ovviamente di questa postapay ignoravo abbastanza l’esistenza e del tutto il funzionamento, per non fare la solita figura del dinosauro poco informato e antimodermo ho detto subito di sì, lì per lì maledicendomi pure per non averci pensato da solo. In effetti, vedi, ho commentato tra me e me, questi sistemi tecnologici a volte sono pratici e veloci.
A volte, appunto.
Ecco, avete presente quando nel secolo scorso per andare in certi paesi ci voleva il visto, che veniva rilasciato solo dall’ambasciata a Roma e quindi bisognava andarci apposta, subendo vari interrogatori da parte di solerti funzionari dei servizi segreti? Oppure avete presenti tutti i fantasmi che agitano gli isterici anti Brexit vagheggiando doganieri arcigni e frontiere britanniche inviolabili se non a costo dell’ostentazione di orrendi lasciapassare pieni di timbri?
Nulla, proporzionalmente parlando, in confronto al Postepay.
Dicono che sia, e non ne dubito, per l’antiriciclaggio.
In ogni caso, per versare anche cento lire sul Postepay di un amico, o della nonna, o del nipotino rimasto senza soldi a Disneyland occorrono:
– tuo documento di identità
– tua tessera sanitaria
– numero della carta del beneficiario
– codice fiscale del medesimo
– tua carta di credito.
Tutto viene inserito a mano su una macchinetta che spesso si inceppa per sovraccarico o mancanza di linea, mentre alle tue spalle il tabagista in astinenza o il pensionato che è senza biglietto e perde il bus sbuffano nervosamente.
Dopo quasi venti minuti il tabaccaio, visibilmente sollevato, sorride e mi fa: ce l’abbiamo fatta.
Anch’io tiro un sospiro di sollievo, rimetto in fretta nel portafogli tutti i documenti e faccio per prendere la porta, ma lui mi blocca: “Aspetti, c’è la ricevuta!”.
Il fumatore smadonna, il pensionato geme.
Mi aspettavo una specie di scontrino e invece no: da una stampante comincia a uscire un interminabile papiro filigranato arancione pieno di numerini fittissimi che, mi spiega l’esercente, riportano i dati della transazione, compresi numero di scarpe del beneficiario e elenco dei miei antenati in linea paterna fino alla sesta generazione.
Al termine me la porge. A casa l’ho misurata: è lunga 36 cm e larga 8, come mezzo foglio protocollo. Praticamente un tazebao burocratico-finanziario.
Tocca poi alla stampa della ricevuta della carta di credito.
A questo punto, il tabagista si taglia la giugulare, il pensionato senza biglietto si butta sotto al bus che doveva prendere, io ho perso quasi mezz’ora, il tabaccaio almeno cinque clienti.
Però l’apparato dell’ufficio italiano complicazione affari semplici è felice.