Al prestigioso National Arts Center di NY una mostra dedicata ai ritratti dei poeti, arte in cui George Schneeman (1934-2009) eccelleva. A un anno esatto dalla scomparsa dell’artista, l’ennesimo riconoscimento postumo a “a painter amongst the poets”
Soundtrack: “People who died”, Jim Carroll
Tra i tanti sentimenti possibili – rivalsa, rabbia, soddisfazione, recriminazione, nostalgia – quando qualcuno, passato “sotto traccia” in vita, riceve da morto attestati e riconoscimenti, quello che certamente prevale, in noi almeno, è il rimpianto. Il rimpianto di non avere più con noi l’amico, una persona di straordinaria e fuggente sensibilità, qualcuno capace, anche a prescindere dalla sua arte, di incarnare il senso della sintonia e della presenza.
Nella magnifica mostra in corso al Nationat Arts Center di Gramercy Park, una delle più prestigiose location di New York, la figura di George Schneeman spicca. Non solo perchè la sua è una delle poche di pittore tra decine di fotografi, ma soprattutto perchè dai suoi affreschi e dai suoi dipinti a grande formato la poesia sembra affiorare, far parte del ritratto, impregnare la tela. Qualcuno ha detto che era come se Schneeman dipingesse con la penna o facesse poesia con il pennello. Un’affermazione in apparenza banale, finchè non viene messa a confronto, ad esempio, con l’eterea intensità dei grandi ritratti dedicati ai suoi amici Ron Padgett e Ted Berrigan, che attraverso gli occhi di George si trasformano in sagome vive che levitano su quinte bianche, gettano sguardi su finestre sospese e parlano attraverso brevi versi galleggianti come fumetti surrealisti.
Pochi, come lui, sapevano restituire attraverso la pittura la concomitante sensazione di vita e di vitalità, di fissità del tempo che scorre, di contemplazione estatica e di esistenza febbrile.
O forse è solo malinconia per la gente “who died”?