Tutti abbiamo approfittato per decenni del lassismo nazionale e ne siamo quindi corresponsabili. Ma nel momento dello scaricabarile è più facile e condiviso fare il tiro al bersaglio sui soliti noti. Io invece credo che, se anzichè chiedere qualcosa per ripianare, lo Stato smettesse di dare gratis, molti problemi si risolverebbero da soli.
L’emotività, si sa, non è una buona consigliera. E quando si accompagna alla febbricella del populismo, nonchè ad altri sentimenti piuttosto “bassi” come il rancore, l’invidia, la voglia di vendetta, il desiderio sordo di rivalsa, il bisogno di attribuire “colpe”, di solito provoca danni.
Premetto che, ahimè, non sono un milionario. Anzi, non sono nemmeno uno del ceto medio fissato giorni fa per decreto. Cioè non guadagno quei 4mila euro mensili che a tanti, compreso il signor Montezemolo Luca, sembrano una miseria o poco più. Ne dovrebbe conseguire che sono tra i poveri, ovvero tra quelli che incassano meno di 90mila euro lordi all’anno e per questo tra gli esentati dalla stangata. Infatti è così, sebbene non mi senta affatto povero.
Ma il punto è un altro.
Siamo in mezzo alle ferie e io per primo non ho voglia di mettermi a spulciare tabulati e porre mano alla calcolatrice. Giudico a occhio. Eppure dico: ma c’è davvero qualcuno sano di mente (o più ferrato di me in aritmetica, o semplicemente in buona fede) disposto a credere che dando una mazzata una tantum ai grandi patrimoni, raddoppiando la supertassa ai calciatori e azzerando i privilegi dei parlamentari si ripianerebbe non dico il deficit, ma una fetta percettibile dello stesso?
A me pare fantascienza. Come voi, anch’io vivo tutti i giorni osservando il mondo intorno a me, la mentalità della gente, la vita quotidiana, i vizi, le virtù della nostra società.
Come si può credere che una voragine finanziaria come quella che si è aperta in cinquant’anni di allegra, consociativa, condivisissima e trasversale euforia possa essere colmata con il solo versamento di un “contributo di solidarietà”? Come si può poi, aggiungo, non accorgersi che colmare il deficit è la parte minore e la più facile dell’operazione, quando quella più difficile e onerosa è rimuoverne le cause?
E le cause, quali sono? Gli abusi di alcune migliaia di straricchi? I megastipendi dei calciatori? Le ruberie e i privilegi dei parlamentari?
Ma per favore.
Gli sprechi, gli enti inutili? In parte. Direi meglio le inefficienze diffuse, male assai più sottile e instanabile.
La causa principale siamo tuttavia noi. Tutti. Ricchi e meno ricchi. Poveri compresi, per decreto o senza. La causa è l’indifferente stillicidio quotidiano, la perpetuazione di piccoli abusi, le generalizzate sinecure, le furberie divenuti nel tempo tanto facili, abituali e impuniti da apparire acquisiti.
In tal senso non credo affatto che lo statale da 1.500 euro al mese sia meno responsabile del supermanager da 300mila. Tutti abbiamo approfittato troppo a lungo e troppo ampiamente di quelle “libertà” diffuse che un benessere apparente, uno welfare di facciata e uno stato malintesamente sociale hanno senza risparmio distribuito per decenni a noi.
Noi che, miracolosamente ricompattati, per effetto dell’incombente stangata, nelle originarie categorie contrapposte (statali contro autonomi, ricchi contro poveri, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, commercianti contro consumatori, professionisti contro clienti) ora troviamo sfogo accusandoci a vicenda e lanciando pietre verso i facili bersagli che mettono sempre tutti d’accordo nel nome del “governo ladro”: appunto ricchi, calciatori e politici.
Nessuno però che sembri disposto a fare un passo indietro, una concessione. A rinunciare a nulla di quanto così allegramente acquisito. Nell’illusione che indietro non solo non si possa, ma soprattutto non si debba tornare.
Io invece proporrei una ricetta. Si stanghino pure una tantum, per il valore simbolico (sebbene in sé iniquo) del gesto, i grandi redditi e i grandi patrimoni. Si chieda pure un contributo di solidarietà alla presunta classe media. E a tutti gli altri non si chieda di pagare una lira.
Ma si cessi al tempo stesso di dare. Tariffe politiche stop, agevolazioni stop, gratuità stop, esenzioni stop, indulgenze stop, abbuoni stop, condoni stop, perdoni stop, distinguo stop. Basta beneficenza indiretta, basta socialismo camuffato, basta tutto. Ogni cosa abbia il suo prezzo, il suo prezzo reale. Ciò che serve, si paga per quello che costa. E sia fiscalmente detraibile. Chi è capace venga ricompensato per tale, chi è solerte altrettanto. Chi è meno capace o meno solerte, venga pagato meno. Chi non è capace nè solerte, si rassegni ad essere subalterno, a guadagnare dignitosamente, ma di meno. Perchè non è vero che tutti siamo uguali e che tutti siamo onesti, corretti, consapevoli e coscienziosi allo stesso modo.
Sarebbe una rivoluzione morale, più che economica.
Anche un passo indietro nel cosiddetto “sviluppo”? Lo dico a chiare lettere: chi se ne frega!