In un post di Andrea Petrini l’ennesima dimostrazione di come l’industria del vino (e non) cerchi di “usare” i blog. E di come, mentre qualcuno (negandolo) ci marcia, qualcun altro si rifiuti, per fortuna, di fungere da “utile idiota” degli uffici marketing.

Fino a pochi giorni fa conoscevo Andrea Petrini e il suo blog, “Percorsi di Vino“, solo di nome.
Ma ora, dopo la segnalazione di un’amica, lo conosco meglio. E al di là delle opinioni che esprime, nello specifico condivisibili o meno, si è conquistato il mio rispetto.
Perchè il suo è un altro caso – e sono sempre più numerosi – in cui un blogger si stufa di sentirsi dare di “venduto” o, peggio, di “comprabile” o perfino di “usabile“. E decide di fare outing. Di ribellarsi cioè alla logica secondo la quale la rete e gli opinionisti che la popolano sarebbero una sorta di vetrina comoda e di bocca buona attraverso la quale l’industria (del vino o di altro) può “spacciare” informazione pubblicitaria senza pagarla. Oppure pagandola eccome, ma di nascosto al lettore, facendo del blogger un “media partner” connivente e camuffando la reclame come se fosse un pensiero originale.
Per non dire della deteriore e forse ancora più viscida abitudine che alcuni hanno di pubblicare supinamente (in cambio di che? Soldi? Casse di vino? Inviti a pranzi e fiere? Pacche sulle spalle?) i comunicati stampa delle aziende. E trasformandosi, così, in loro gratuiti e inconsapevolmente collusi megafoni.
Alla faccia della presunta trasparenza e indipendenza di certa sedicente informazione “alternativa”.
In un efficace post (qui) Petrini racconta in sintesi questo: di aver ricevuto e rifiutato le più o meno esplicite proposte di aziende vinicole che non solo gli chiedevano di dare una visibilità sistematica, cioè attraverso un vero e cadenzato programma di pubblicazioni, ai loro prodotti (chiamiamolo col suo nome: un contratto), ma pure di farlo gratis, se non in cambio di “interviste esclusive” (?) o “ingressi privilegiati” (aridaje: la solita cricca di quelli che sputacchiano i giornalisti, ma pretendono di essere trattati da tali senza esserlo, vedi qui).
Insomma: tentavano di indurre il Petrini a fare gratuitamente quella grossa mole di lavoro che solitamente viene svolta, e lautamente compensata, da chi quel lavoro lo fa di mestiere e alla luce del sole.
Sarò un blogger, ma non sono stupido, conclude allora un risentito Andrea Petrini.
E aggiunge: “Perchè devo fare un lavoro di social media marketing per tizio quando questo non è certamente una onlus e dispone di un team che sicuramente è pagato per fare il suo lavoro? Sapete qual’è il male dei blogger? Che molti, troppi, pensano che siamo qua a ricercare sempre la massima visibilità che, dovete sapere, dovrebbe essere cercata con la qualità dei post e non per la…quantità“.
Ineccepibile.
Certo, finchè c’è chi – per mercede, vanità, stoltezza – è ben lieto di farsi usare più o meno occultamente in un mondo in cui si trasformano in spazi pubblicitari (sottolineo pubblicitari) le facciate dei condomini e perfino i lavori in corso, c’è poco da invocare l’affidabilità dell’informazione. Vi pare?
Meditate, giornalisti, consumatori, appassionati, lettori e produttori. Meditate