Dicevano che, non avendo “clienti”, non abbiamo neppure bisogno dell’assicurazione rc contro terzi. Ma era una baggianata: gli autonomi i clienti li hanno eccome. Infatti le convenzioni fioccano. Dunque ora si pensi a procurare alla professione coperture serie.

Che il nodo dell’assicurazione professionale dei giornalisti sarebbe presto diventato – sotto la spinta degli obblighi legali e dell’ansia politica che ne deriva – un tema di grande attualità e di potenziale, ma lucroso business, era un facile vaticinio. Nel quale (ad esempio qui, qui e qui) mi sono di frequente esercitato.
Così, prima timidamente e poi con iniziative più decise, nell’arco degli ultimi diciotto mesi l’Ordine, il sindacato e alcune loro ramificazioni si sono attivati per offrire agli iscritti convenzioni con un qualche tentativo di copertura. O almeno per darne l’apparenza. Il che, in termini di captatio benevolentiae, è la stessa cosa.
Peccato che, aldilà di un modesto effetto placebo, i risultati concreti siano scarsi. Nessuna infatti delle polizze e delle formule, più o meno buone, che ho avuto finora modo di esaminare mi è parsa sufficiente a coprire il reale fabbisogno assicurativo della nostra variegata categoria.
Il motivo è semplice: un po’ la questione è in sè piuttosto complessa e articolata, un po’ sono in pochi ad averla realmente compresa a fondo. E un po’ perchè, appunto, alle istituzioni spesso interessa più dare agli iscritti risposte appariscenti che soluzioni reali.
La genesi della faccenda è nota.
Il decreto salva-Italia prevedeva, entro la scadenza del 12/8/12, che il nostro paese si adeguasse a tutta una serie di norme Ue, tra le quali l’obbligo di un’assicurazione per i danni a terzi a carico di tutti i liberi professionisti iscritti a un albo professionale. Giornalisti compresi, quindi.
In parte del tutto malintesa dalla non vispissima categoria, in parte niente affatto calibrata sulla oggettiva specificità del lavoro giornalistico, la scadenza scatenò pertanto, alternativamente, ondate di panico e resistenze corporative, fino a quando si credette di aver risolto il problema dando a bere al (compiacente?) interlocutore ministeriale che per i giornalisti l’obbligo non sussisteva in quanto gli stessi “non hanno clienti“, poichè svolgono la professione come dipendenti di un editore.
Una baggianata sesquipedale. Pronunciata, forse, a fin di bene. Ma sapendo di baggianare, visto che da anni non si parla d’altro che di una categoria di giornalisti costituita per il 70% da “autonomi“, ovvero da operatori dell’informazione che sono esterni alle redazioni e per i quali, checchè se ne dica, l’editore è a tutti gli effetti un “cliente“.
Che si trattasse di un espediente dialettico per prendere tempo e aggirare l’obbligo lo dimostra il fatto che, con buona pace dell’asserita “dipendenza” dei giornalisti autonomi, nel frattempo le istituzioni giornalistiche nazionali e regionali si sono (benemeritamente) prodigate per concludere le famose “convenzioni” con primarie compagnie assicurative con il fine di garantire agli iscritti un ombrello almeno parziale contro citazioni e querele da parte di terzi.
Bene: ora che il ghiaccio è rotto e il tabù dell’inutilità di una polizza professionale per i giornalisti è sfatato, sarebbe però opportuno che le stesse istituzioni allargassero i propri orizzonti e si rendessero conto del fatto che, sia all’interno che all’esterno del rapporto tra giornalista autonomo e editore, il fabbisogno di una copertura assicurativa strutturata a 360° – cioè pensata specificamente per questa figura – è tanto vasto quanto stringente, andando ben oltre il pur serio problema delle citazioni per danni e delle querele.
E che pertanto, cuciti sulla divisa i galloni di benemerenza per essersi fatte formalmente carico della questione, la affrontassero dal versante delle necessità concrete, di cui la casistica quotidiana offre infiniti esempi.
Globalmente, insomma.