Ci ha lasciato Paolino, giornalista e viaggiatore raffinato. Ci conoscemmo nell’88, a Portorico.
Correva il gennaio del 1988 ed io stavo organizzando con alcuni amici una settimana bianca per febbraio. Da un anno avevo cominciato a collaborare dalla Toscana col Giornale di Montanelli. Grande adrenalina, grande esperienza. Mi occupavo un po’ di tutto, dalle scienze alla cronaca. Ed anche di turismo, al quale la testata dedicava ogni settimana un’intera pagina. Non che all’epoca io fossi un gran viaggiatore: anzi. Mi ero sempre limitato ad andare in vacanza, e solo in vacanza, nei luoghi classici. Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Francia. Cose così.
Poi una mattina suona il telefono. E’ il mio capo da Milano, Alberto Taliani. “C’è un viaggio da fare a fine febbraio“, mi dice. “A Portorico“, aggiunge dopo una pausa un po’ teatrale.
Silenzio dalla mia parte del filo. Silenzio dalla sua. Lui forse immaginava il mio entusiasmo. Io invece pensavo che volevo andare in settimana bianca e tanti saluti a Portorico, ma non sapevo come dire di no. Attimi di interlocutorio imbarazzo. “Veramente ho già fissato di andare a sciare“, balbetto io. E lui, di là, palesemente deluso: “Mah, fai te. Ma fammelo sapere presto, sennò mando un altro. Se decidi di sì, devi venire a Milano la prossima settimana per un incontro organizzativo“.
Ovviamente (e saggiamente) andai. Sia a Milano che a Portorico.
Non sapevo che quel viaggio avrebbe cambiato per sempre la mia vita professionale.
Uno dei miei compagni di avventura (per me tutti nuovi e tutti molto più navigati di me) era Paolo Rinaldi, detto Paolino, che ci ha lasciato oggi. Lavorava per Vogue. Un gran personaggio. Gay dichiarato. Acutissimo. Intelligentissimo. Pungentissimo. Partimmo da Malpensa una mattina gelida di febbraio, tutti bardati da inverno, e durante lo scalo a New York ci persero il bagaglio. Per due giorni rimanemmo nel clima tropicale del Caribe coi vestiti invernali, sudando come in sauna. Tutti, tranne lui. Che in borsa si era messo per precauzione una maglietta, una paio di bermuda e le infradito. “Non sai viaggiare“, mi disse tra il serio e il faceto, con un tono perculatorio e un’ironia irresistibili.
Giorni dopo una collega, a colazione, gli dice: “Paolo, stanotte ti ho sognato: mi devo preoccupare?“. “Casomai sono io che mi preoccupo!“, le rispose lui. Grande Paolino. Colto, raffinato, educato, disincantato.
Ovviamente diventammo amici e ci siamo visti e frequentati per decenni negli ambienti dei giornalisti di viaggio. Vicende associative, missioni varie in giro per il mondo. E lui sempre vispo, sempre un po’ defilato ma prontissimo quando c’era da esporsi, da fare una battuta o un commento. Conversatore straordinario, compagno di tavola contesissimo, cavaliere inappuntabile delle signore.
Poi il settore è andato com’è andato, ci siamo un po’ persi. Saluti sui social, auguri di compleanno. Dal 2011 pubblicava ogni settimana “Carnet des notes“, un ricercato “diario culturale” che mi inviava regolarmente. Lo specchio fedele della sua superiore sensibilità.
Era ormai qualche anno però che non lo vedevo. Se n’è andato in silenzio nello stesso giorno del Papa.
Fai buon viaggio, adesso.
E grazie di avermi insegnato come si fa.